X-Men

Giu 16, 2011

La Genesi di un Franchise

Sul finire degli anni 90, la 20Th Century Fox acquista dalla Marvel comics i diritti di sfruttamente cinematografico di una delle serie mutanti che allora stavano spopolando per produrne una serie tv: Generation X.
Fu girato il primo episodio pilota e, una volta proiettato e proposto ad alcuni canali televisivi americani, bocciato.
La major statunitense avrebbe, allora, dovuto restituire i diritti di cui sopra alla casa dell’Uomo Ragno, di Iron Man e dei Fantastici 4.
Ma con una mossa, che allora tutti bollarono come azzardata, non solo la 20Th non tornò sui suoi passi, ma stipulando un accordo di “licenza di sfruttamento cinematografico” portò a casa tutto il pacchetto mutante:  in pratica, la casa dalla metà degli anni 90 sino ai rinnovi periodici (ora scadrà nel 2013) aveva la possibilità di girare film e serie tv usando i personaggi Marvel inerenti il brand mutante.
Nel 1998 la Fox assoldò, dopo tentativi molto fallimentari e sceneggiature pessime, un giovane e promettente regista indipendente che si era fatto strada dirigendo film quali L’Allievo e i Soliti Sospetti e generando una certa ammirazione a Hollywood: Bryan Singer.
Bryan mise mano alla sceneggiatura ispirandosi ai fumetti degli X-Men e insieme a Tom De Santo confezionò quello che sarebbe stato il primo vero esempio di cinecomic moderno: X-Men.
L’anno prima c’era stato un tentativo (Blade) semi-fallito, non perchè un brutto prodotto, ma se si vuole generare una ondata cinematografica di questo tipo lo si deve fare con personaggi di un certo rilievo.
X-Men fu un successo: la critica, i fan, tutti si affascinarono davanti alla storia di questi uomini nati con poteri che li rendevano differenti da noi, ma non così contrari.

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione. Ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni qualche centinaio di millenni l’evoluzione fa un balzo in avanti.

L’Evoluzione

L’apertura, la trascendenza del film, si getta a capofitto all’interno della natura umana, sconvolgendo lo spettatore e proiettandolo nel periodo, nel suo periodo più buio in cui la razza umana era preda di una coscienza violata dall’interno: Polonia 1944, in un campo di sterminio tedesco si consuma l’orrore di una famiglia che viene separata, un bambino che tenta di ricongiungersi ai famigliari, che vede scomparire tra la pioggia incalzante e la bruttura.
Ecco il momento dell’origine, ecco l’esplosione genetica di uno dei Figli dell’Atomo.
Il bambino è Erik Lehnsherr, giovane ebreo polacco che tende la sua mano in direzione dei suoi cari, piegando alla sua inconscia volontà i cancelli e il filo spinato e trascinando con sé i soldati che tentavano di dividerlo dal suo mondo.
La scena poi si sposta in una assolata zona del Sud degli USA, una ragazza di nome Marie, nella sua camera favoleggia con il fidanzato di programmare un viaggio e, nel momento di un semplice bacio, il sogno è finito.
Il giovane è quasi esanime sul letto, sul suo volto i segni di un indecifrabile sintomo e la ragazza, in lacrime, che urla tentando invano di chiedere aiuto.
In un futuro non molto lontano il Congresso che si tiene a New York tenta di attuare una Legge sulla Registrazione dei Mutanti, la dottoressa Jean Grey tenta di spiegare che non tutti i mutanti sono malvagi, ma viene zittita dagli applausi e dai consensi per il senatore Kelly (suo avversario).
In questo contesto compare il Professor Charles Francis Xavier, che assiste al congresso e scorge nell’ombra la figura di un suo vecchio amico: Erik.
I due parlano dell’imminente guerra che si scatenerà tra umani e mutanti, Charles ed Erik argomentano le loro tesi come fanno da anni, ma sanno che la battaglia è alle porte.
Questa è la grande premessa del film, questo è ciò che ci viene mostrato in primis, la frattura del passato che ritorna.
Con un salto di sequenza, il regista continua a mostrarci i protagonisti della pellicola: in una bettola canadese, un uomo fuma un sigaro in una gabbia da lotta, buttando al tappeto chiunque osi sfidarlo.
Logan, il mutante più famoso dell’universo Marvel appare così, nella sua prima filmica performance.
A lui si accompagna, con riluttanza, la giovane Marie; poco dopo i due vengono attaccati da un essere dalle fattezze leonine (Sabretooth) ma vengono tratti in salvo da alcuni personaggi vestiti di nero.
La sequenza in cui compaiono per la prima volta Ciclope e Tempesta è davvero una delle più belle: una bufera di neve scende sino a concentrarsi un un turbine che distrae Victor Creed e poi, il raggio ottico di Scott che spazza via la creatura, portando in salvo Logan e Marie.
Dopo l’arrivo all’Istituto di Xavier, la presa di coscienza di non essere soli e la conoscenza coi membri principali del gruppo, Logan accetta di restare a patto che Xavier riesca ad aiutarlo a recuperare la memoria perduta da anni.

Gli X-Men

I personaggi vengono introdotti in tutto il contesto filmico con maestria, da un regista talmente introspettivo che crea, però, alcune lacune che resteranno in tutta la trilogia.
Esempio lampante di ciò è Ciclope (James Marsden), che da leader mutante e stratega quasi perfetto nei fumetti qui viene snaturato, spogliato delle, o dalle, sue doti migliori: un personaggio che non avrà una buona evoluzione nei tre film, terminando il suo percorso quasi come lo aveva cominciato.
Il Professor X è un concreto Patrick Stewart che, consapevole della sua natura e della presenza del suo ruolo, regala una impeccabile resa del fondatore degli X-Men e lo stesso possiamo dire per sir Ian McKellen, noto attore scespiriano prestato alle regie singeriane e famoso anche per la trilogia del Signore degli Anelli (Gandalf il Grigio/il Bianco); il suo è un Magneto senza scrupoli e tentatore, un leader al contrario e contrario al sogno stesso, un mutante che ha ben compreso il proprio ruolo in questa società e che ha, soprattutto, scelto da che parte stare.
Essendo egli un sopravvissuto alla follia del Nazismo, sa bene di cosa sia capace l’uomo e vuole evitare ciò avvicinando l’homo sapiens al superior (i mutanti) con un escamotage di cui ancora non comprende il potenziale devastante.
Logan/Wolverine è il ruolo centrale, la chiave del film, la sua anima: se si deve lanciare un film sui mutanti non è possibile farlo, nel 2000, senza Wolverine.
Ecco allora che Hugh Jackman ottiene quasi per caso (e per fortuna) quel ruolo a cui molti ambivano (il ruolo era stato assegnato all’attore Dougrey Scott che però dovette rinunciare dopo un infortunio sul set di Mission Impossible II) ed ecco che la sua interpretazione lo afferma come una delle nuove stelle mondiali.
Tempesta è interpretata dalla bellissima e non troppo convinta (nella prima pellicola, almeno) Halle Berry mentre Jean Grey è il ruolo che ricopre Famke Janssen: la Grey è un personaggio in una spirale evoluzionistica che, dal primo al terzo film, regala una delle caratterizzazioni più belle di tutti i protagonisti.
Rebecca Romijn è la femme fatale Mystica, la mutaforma braccio destro di Erik e, insieme a Ray Park (Toad) e Tyler Mane (Sabretooth) formano la Confraternita dei Mutanti, la parte oscura degli X-Men, il sogno violato di Xavier.
Il premio Oscar per Lezioni di Piano (The Piano) Anna Paquin porta sul grande schermo una poco convincente Rogue/Marie e anche in questo caso non per sua colpa.
La sceneggiatura non permette la totale espressione del personaggio, proprio come per Ciclope.
La storia del film tra alti (molti e ben curati) e bassi (pochi, a mio avviso solo la non buona gestione di Ciclope e Rogue) regala una delle rappresentazioni più delle di un fumetto di supereroi, tutt’ora tra le migliori e senza alcun dubbio un ottimo inizio per un franchise che ha ancora da dire qualcosa.

I Costumi, L’Istituto e il Blackbird

Nella pellicola si scelse di dare un taglio “militaresco” alla squadra, famosa la battuta tra Ciclope e Logan riguardo la “tutina gialla”: se Magneto è un personaggio sì potente ma con anni sulle spalle era doveroso creare una rappresentazione epica intorno a lui (non a caso lo stesso Morrison nel suo ciclo sugli X-Men lo rappresenterà con le stesse vesti della pellicola di Singer) e lo stesso dicasi per coloro che hanno scelto di seguirlo.
Toad è un vero rospo sotto forma di essere umano e lo stesso è valido per il felino Victor, Mystica d’altro canto è resa in modo ottimale.
La sua completa nudità non è volgare, il suo essere rappresentata così come appare nel film è la totale ed unica soluzione finale che una pellicola potesse partorire: essa vuole presentarsi al mondo per ciò che è: una creatura bellissima.
Le location del film immergono lo spettatore in un mondo moderno, in situazioni a metà tra la fantascienza più pura e la verità dei fatti, ecco allora la caverna, il rifugio di Magneto in cui crea un ponte metallico dove lui passa e piega le sbarre delle prigioni alla sua completa volontà.
Di riflesso, Charles ha nel suo labirintico maniero una base completamente attrezzata a tutte le emergenze, e il suo Gotha, Cerebro, è il centro nevralgico della ricerca, del suo sogno che si espande nelle menti degli altri mutanti impauriti, per tutti coloro che hanno bisogno di essere salvati.
L’hangar, il velivolo sperimentale (X-Jet o Blackbird) e la Scuola per Giovani Dotati sono una copertura al desiderio di celarsi del Professor X.
E’ qui che tutto è cominciato e da qui, forse, partirà il segnale che darà il via alla fine.
X-Men ha dato il via al genere del cinecomic.
Ed era solo l’inizio.