Star Brand

Feb 18, 2015
copertina Star Brand
Il volume che ripropone le prime storie di Star Brand

Testi: Jim Shooter.
Disegni: John Romita Jr., Alex Saviuk.
Edizione originale: Star Brand #1-7 1986-1987.
Edizione italiana: Star Brand, 17×26, C., 176 pp., col., 20 €, Panini Comics.
A cavallo tra il 1990 e il 1992 – quando la Marvel Italia non era ancora nata, la Star Comics pubblicò Star Brand, uno dei fumetti più interessanti dell’epoca, sulle pagine del suo celebre antologico Star Magazine. Si tratta di sette storie in cui Jim Shooter, coadiuvato dalle matite di John Romita Jr. (fatta eccezione per il numero 3 disegnato da Alex Saviuk), racconta le avventure per nulla “supereroistiche” di Kenneth Connel, meccanico di Pittsburgh che acquisisce poteri sovrumani.
Dopo più di vent’anni, la Panini ha ristampato il ciclo in un pregevole volume cartonato, arricchito dalla ricostruzione digitale dei vecchi colori.
Star Brand è il titolo di punta dell’ambizioso quanto sfortunato progetto editoriale New Universe, che fu varato nel 1986 in occasione del venticinquesimo anniversario della Casa delle idee e si dipanò attraverso otto serie – tra le quali spiccano il sopracitato Star Brand e D.P.7, scritto da Mark Gruenwald e disegnato da Paul Ryan. Il mondo in cui si svolgono le storie, del tutto slegato dall’universo Marvel è inizialmente caratterizzato da un’impronta realistica, viene sconvolto da due avvenimenti in apparenza indipendenti l’uno dall’altro: un fenomeno astronomico inspiegabile denominato l’evento bianco, e l’incontro tra Kennet Connel e un misterioso vecchio che sostiene di essere un alieno in fuga.
Nel primo caso, una luce bianca investe tutto il pianeta e conferisce capacità paranormali a diversi individui. Nel secondo, Kennet Connel riceve in dono una sorta di tatuaggio (lo star brand) che lo rende potente quanto il Superman della silver age.
Nel New Universe, a differenza del classico universo Marvel, i protagonisti non indossano calzamaglie variopinte e non sembrano interessati a salvare il mondo – non a caso, il motto ufficioso che circolava negli uffici della Marvel era “il mondo che vedete fuori dalle vostre finestre”. Questa linea editoriale, fortemente voluta da Jim Shooter, allora editor-in-chief della Marvel, partì con un budget di 120.000 dollari, che la casa editrice finì per ridurre drasticamente a causa dei propri problemi finanziari; ciò nonostante, Shooter riuscì ad assemblare una squadra di redattori, scrittori e disegnatori più che dignitosa, arrivando a rimuovere (suo malgrado) Romita Jr. da Uncanny X-men per assegnarlo al nuovo progetto.
La storia di Star Brand ricorda l’incipit di Lanterna Verde: un misterioso alieno in fin di vita, motivato da buone intenzioni, dona a Kenneth Connel dei grandi poteri.
Anche se, come si ha modo di scoprire durante la lettura, la realtà è diversa da come appare nel primo numero, quello che più di tutto rende la storia originale è il protagonista: un uomo che, pur essendo dotato di un buon potenziale, come sottolineano amici e colleghi, non ha il coraggio di mettersi realmente in gioco. Si accontenta di un lavoro sottopagato e preferisce non impegnarsi con Barbara, la donna che sostiene di amare, portando avanti una relazione clandestina con la fragile e innamorata Debbie Fix, infischiandosene dei suoi sentimenti.
Anche le avventure che vive durante l’arco narrativo hanno una matrice prevalentemente egoistica. Connel, che impiega il potere ricevuto soprattutto per divertirsi e ottenere piccoli vantaggi quotidiani, prova anche a fare del bene, ma senza troppa convinzione. Perfino quando arriva allo scontro decisivo con il suo antagonista, lo fa in primo luogo per salvare se stesso e i suoi cari, e solo in seconda battuta per eliminare una minaccia planetaria.
La scarsa propensione di Connel all’eroismo traspare anche dal modo in cui Romita Jr. tratteggia il personaggio. Pur essendo un uomo atletico, non ha la tipica mascella quadrata che caratterizza i classici supereroi: il viso allungato e lo sguardo spesso spaesato, aiutano a descrivere un uomo confuso, in cui buone intenzioni ed egoismi spiccioli si contrappongono ogni giorno.

Kenneth Connell
Kenneth Connell

Romita Jr., che pure all’epoca non aveva ancora raffinato lo stile per cui è diventato famoso, aggiunge valore alla serie con un disegno fluido ed efficace ottimamente valorizzato dalla chine di Williamson. Le vicende di Star Brand si succedono in una sequenza tutta in soggettiva, cadenzata dalla narrazione in prima persona. Non vediamo mai cosa pensano o dicono gli amici di Connel in sua assenza, cosa tramano nell’ombra i suoi nemici, o altre sottotrame slegate dal protagonista: la telecamera coincide con lo sguardo di Ken Connel sul mondo, mentre affronta i suoi dubbi e le conseguenze delle sue scelte. Questo espediente, per quanto possa limitare lo schema del racconto, favorisce l’immedesimazione del lettore, portandolo a chiedersi come si comporterebbe, se avesse poteri in grado di rivaleggiare con quelli di Superman.
Per fruire la storia non sono richieste particolari conoscenze del New Universe, e non ci sono connessioni rilevanti con le altre serie della linea editoriale, se non una breve apparizione dei personaggi di Spitfire nel numero 2.
Purtroppo, non possiamo sapere come Shooter avesse intenzione di portare avanti la trama di Star Brand, o in quale direzione si sarebbe evoluta la psicologia del personaggio, perché fu licenziato dai proprietari della casa editrice poco prima che il numero 7 venisse pubblicato.
Le storie raccolte nel volume edito da Panini hanno una chiusura, ma molti interrogativi restano aperti. Comunque, nonostante la sua controversa storia editoriale, la creatura di Shooter e Romita Jr. ha lasciato il segno: lanciato nel 1986, anno che rappresenta una sorta di spartiacque nella storia dei comics americani, per la pubblicazione di pietre miliari come Born Again e The Dark Knight Returns di Miller, e Wachtmen di Moore, pur non essendo all’altezza di quei capolavori, Star Brand merita di rientrare nell’elenco dei titoli che hanno rivoluzionato il modo di raccontare il fumetto mainstrem.
Nei numeri successivi a quelli ristampati nel volume Panini, la serie fu scritta prima da Cary Bates, poi da George Caragonne e, infine, da John Byrne (di ritorno dalla DC), che la curò come autore completo, dal numero 11 fino al conclusivo numero 19. Byrne rivoluzionò ambientazione, cast dei personaggi e stile, abbassando di molto il livello qualitativo.
Per ricostruire le motivazioni di questo brusco cambiamento, bisogna fare un breve passo indietro.
Negli ultimi anni della gestione di Shooter, la Marvel era devastata da una guerra interna tra lo stesso Shooter e molti fumettisti. Oltre a essere ricordato per i suoi successi commerciali, l’editor-in-chief del periodo 1978 – 1987 è noto anche per essere stato uno dei dirigenti più odiati.
Non tutti gli artisti che collaboravano con la Casa delle idee erano disposti ad accettare il suo atteggiamento rigoroso e la tendenza ad accentrare tutte le decisioni, che con il tempo lo portarono a diventare sempre più dispotico e intransigente. Alcuni di loro, tra cui Byrne, se ne andarono sbattendo la porta.

Marvel Comics una storia di eroi e supereroi
Il libro di Sean Howe

Nel bellissimo libro Marvel Comics, una storia di eroi e supereroi, edito da Panini, l’autore Sean Howe raccoglie una serie di aneddoti che chiariscono le tensioni di quegli anni.
Nell’aprile 1987 si verificò un evento che portò all’allontanamento di Shooter. Durante un party organizzato nel Connecticut, dove erano presenti parecchi collaboratori della Marvel, Byrne, che ormai lavorava solo per la DC, diede fuoco a un fantoccio con il corpo composto da copie invendute di fumetti del New Universe e una foto di Jim Shooter al posto del volto. Il video di questo macabro rituale arrivò in California e fu visto dai proprietari della Marvel, che decisero di licenziare Shooter per rassenerare il clima fin troppo teso.
Poco dopo, fu Byrne a fare ritorno alla Marvel, assumendo il duplice ruolo di scrittore e disegnatore di Star Brand, e si può intuire con quale spirito abbia approcciato la serie tanto amata da Shooter. Nei suoi nove numeri, l’artista canadese portò a compimento una mediocre storia di fantascienza, cervellotica e priva di mordente, che di fatto affossò la serie. Tanto per iniziare, imbastì una trama nella quale, con un espediente narrativo sterile, veniva rasa al suolo Pittsburgh, ambientazione della serie… ma anche città natale di Jim Shooter. Una trovata che ancora oggi viene ricordata come la “vendetta” di Byrne.