Copertina de "I mostri di Sullivan"

Soggetto e Sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Giampiero Casertano

Gilles Sullivan è un uomo solo ed infelice, costretto a vivere un’esistenza dominata dalla paura e dall’insoddisfazione. Gilles Sullivan è un uomo che non guarda al di là del proprio naso. Gilles Sullivan è l’unico uomo al mondo che riesce a vedere i mostri.
Riprendendo una tematica già ampiamente utilizzata nella vasta produzione “dylandoghiana”, lo scrittore Pasquale Ruju tira in ballo degli esseri mostruosi, sovrannaturali, immersi nella vita di tutti i giorni perchè a stretto contatto con gli esseri umani, ma da questi non visti né percepiti.
In fondo, l’intera storia si sviluppa in un continuo rimando (omaggio voluto o semplice sterilità inventiva?) a passate avventure dell’eroe di Craven Road 7. Così ritroviamo ne I mostri di Sullivan elementi di sclaviana memoria, da La quinta stagioneGolconda, passando per I vampiri, per poi approdare alle nuove generazioni di autori con Lo sguardo di SatanaMorte a domicilio (dello stesso Ruju).
Incastrando tra di loro i pezzi del puzzle, lo scrittore dà allora vita ad una trama tranquillamente godibile e divertente, evitando, almeno stavolta, di disperdersi, come suo solito fare, in inutili e pompose spiegazioni (il più delle volte irrazionalmente razionali) con le quali giustificare gli incubi trasferiti su carta. Chi si aspetta allora di scoprire la vera natura dei mostri di Sullivan potrà dirsi deluso. Non sappiamo cosa essi davvero rappresentino, se siano frutto della mente del buon Sullivan o creature realmente esistenti, se quindi abbiano o meno un ruolo effettivo nella vita degli esseri che accompagnano.
Ma la mancanza di una spiegazione alla Ruju non si sente. Al lettore, piuttosto, il compito di leggervi la metafora che meglio crede, dar loro quel ruolo che preferisce.
Come è solito fare, partendo da un uomo comune (caratterizzato però da stati emotivi non dei migliori) Ruju procede descrivendone il lento decadere fisico e mentale, il tutto accompagnato dalla secolare critica all’indifferenza ed alla crudeltà della società in cui viviamo.
Dopo una vita passata a non guardare al di là del proprio naso, Sullivan decide di vedere, di affrontare apertamente il mondo e quei mostri che lo avevano da sempre costretto ad aver paura di alzare lo sguardo.
Certo, qualche errore di sceneggiatura c’è ed è evidente, elementi inseriti (es. la questione del tanto citato transfert o il trauma infantile del protagonista) al solo fine di permettere alla narrazione di continuare, ma non per questo responsabili di appesantire la qualità complessiva della storia.
Ad impreziosire l’insieme, infine, il ritorno di una certa dose di sano e violento splatter, ultimamente più raro di un vampiro assetato di sangue. Fantastica, a tal proposito, la scena della follia in metropolitana, eccellente prova della bravura di un Giampiero Casertano peraltro abilissimo, per esempio, nel rendere il terrore nei primi piani illuminati dell’onnisciente Sullivan.
Ed il buon Dylan? Il buon Dylan c’è, ma come spesso accade con Ruju, tutte le luci sono rivolte sul personaggio di turno. Ciò che l’Indagatore dell’Incubo fa, è muoversi parallelamente alla vicenda, suggerirne lo sviluppo e, da buon eroe, trascinarla verso una fine.