Pochi giorni fa, mio cugino di 8 anni mi ha fatto una domanda semplice che però ha scatenato in me delle riflessioni profonde, tanto che non ho saputo lì per lì dargli una risposta esaustiva: «che differenza c’è tra gli eroi Marvel e quelli DC?».
A dire il vero la risposta potrebbe includere anni e anni di differenti scelte editoriali, di diversi modelli comportamentali per i propri eroi, ma come spieghi in maniera chiara e lineare ad un bambino quale sia l’elemento di principale differenziazione tra i personaggi e le storie delle due case editrici?
Dopo averci pensato per più di ventiquattro ore ho deciso di affidarmi alla teoria del rasoio di Occam e di eliminare pertanto qualsiasi riferimento aggiuntivo che un bambino non avrebbe potuto comprendere, dandogli pertanto una risposta sincera e spassionata; una risposta da fan, insomma: «l’ago della bilancia sono gli X-Men, caro cugino».

È bizzarro come proprio l’universo mutante con il suo tema principale (la diversità) rappresenti l’elemento di distinzione (e di innovazione) tra i due modi di fare fumetto delle case editrici.
Ed è parimenti curioso che, analizzando sommariamente il loro percorso editoriale, ci si accorga di come, in un primo momento, questa idea degli X-Men non fosse che uno spazio riempitivo, fatto essenzialmente di idee scartate dagli altri brand più remunerativi, quali l’Uomo Ragno e i Fantastici Quattro.
Quando Stan Lee li creò, nel 1963, riunì gli elementi che non potevano trovare spazio negli altri albi e li mise insieme in un’accozzaglia, sostanzialmente disorganizzata e priva di un’idea a lungo termine, di supereroi, con l’idea di stuzzicare il pubblico con la varietà di superpoteri. Anche qui, però, l’originalità non era proprio il pezzo forte della testata: principalmente (e non me ne vogliano i fan del Sorridente) Stan Lee scopiazzò le abilità del ben noto simbolo della Distinta Concorrenza, astraendo ciò che era unità in Superman, in cinque diversi personaggi: la vista calorifica divenne il raggio ottico di Ciclope; il super udito le capacità telepatiche di Marvel Girl; la forza si trasfuse nelle abilità della Bestia; il fiato glaciale fu lo spunto per la creazione dell’Uomo Ghiaccio; e infine la caratteristica del volo prese forma nelle ali angeliche di Angelo (mi scuserete se non apro una discussione su quante volte i due Editori americani si siano copiati l’un l’altro, è una discussione senza soluzione e personalmente sono incline a pensare che l’originalità sia nell’uso che si fa di un’idea, non nella sua creazione).
Le idee c’erano tutte, comunque, anche se in fase embrionale: la «scuola per giovani mutanti»; la storia d’amore tra Jean Grey e Scott Summer; e soprattutto la «diversità». Il tutto, però, era male organizzato e, prevedibilmente, non riscosse l’agognato successo. La testata chiuse per riaprire poco più di dieci anni dopo (1975) nelle mani di Chris Claremont: fu allora che il popolo mutante sbancò il botteghino.
Claremont restò sulla testata fino al 1991, anno del doloroso e polemico divorzio dalla Marvel, ma fino a quel giorno riuscì ad analizzare e sviluppare un progetto a lungo termine che gli diede l’opportunità di approfondire un’incredibile quantità di argomenti. Quello principale restava uno, però, e Claremont seppe approfondirlo meglio di chiunque altro gettando le basi per la moderna struttura dell’universo Mutante, sostanziale elemento di diversità con il resto della produzione fumettistica: la ricerca dell’uguaglianza delle minoranze etniche, di cui è figlio il sogno del primo mentore della razza mutante: Charles Xavier (il professor X). Un sogno che talvolta acquista i connotati della lotta aperta al razzismo, alle angherie sociali e all’oppressione politica, di cui è espressione l’azione di risposta e il pensiero dell’altro leader mutante: Erik Lensher (Magneto). Senza soffermarci sulle ragioni, per altro valide, dei due schieramenti mutanti, frutto di una diversa interpretazione della vita e delle sofferenze patite (consiglio a questo proposito il film di Matthew Vaughn: X-Men First Class, perfetta sintesi della genesi delle teorie opposte dei due), ci limitiamo a sottolineare quanto questo elemento sia, tra gli ulteriori presenti, uno spunto di un approfondimento politico ed etico raramente presente, considerata la quantità e la qualità delle trame mutanti, nelle altre testate fumettistiche.

Rinunciando a fornire una panoramica completa dei problemi che hanno affrontato i mutanti nella gestione di Claremont e in quelle successive, perché sarebbe praticamente impossibile (Genosha tra tutte merita una menzione, però: una nazione fittizia che, ricalcando il modello dell’apartheid sudafricano, sfruttava impunita il lavoro dei mutanti, discriminati e schiavizzati per la loro diversità etnica), possiamo trarre una linea di contorno su cosa abbia rappresentato e rappresenti l’universo Mutante per il fumetto in generale e quale punto di forza, troppo volte sottovalutato, sia per la Marvel.
I Mutanti, termine che abbiamo imparato essere dispregiativo quasi quanto altezzoso – seppur corretto – sia quello suggerito da Magneto (Homo Superior), sono il perfetto esempio di come sia possibile affrontare con leggerezza e divertimento argomenti delicati come il razzismo, l’evoluzione genetica e l’etica; e di come a loro volta questi argomenti si rispecchino perfettamente nelle stesse trame dei personaggi. È interessante notare infatti come elementi quali il razzismo, nodo principale del concetto mutante, sia non solo un pregiudizio da combattere, ma ingrediente di un conflitto interno alla stessa razza (la lotta tra le idee e i metodi della Confraternita dei Mutanti – il gruppo estremista di Magneto- e le stesse finalità ma con metodi opposti della Scuola per giovani dotati di Xavier, ne sono palesemente l’allegoria); o come ancora l’evoluzione rappresenti non solo il materiale di base delle storie, ma anche lo specchio del percorso intrapreso dalla stessa razza mutante: da gruppo disorganizzato, ignaro e insicuro, sono diventati genere e non più specie, consapevoli delle proprie aspirazioni e obiettivi, acquisendo coscienza di popolo e abbandonando quella di comunità; l’ambiguità morale che spesso si sono trovati a combattere, poi, raffigurata nei pensieri di quella che è in fondo l’alter ego della nostra classe politica, è ripresa nelle loro (dei Mutanti) stesse concezioni e comportamenti. L’evoluzione delle figure di Ciclope e Magneto sono senz’altro emblematiche per quanto riguarda quest’ultimo concetto: il primo, da allievo modello e ubbidiente, unico e solo animo trasparente e incorruttibile del gruppo, è diventato leader machiavellico ed enigmatico, spietato nella sua cinica lucidità; il secondo, da potente terrorista internazionale universalmente temuto e disprezzato che era, è divenuto membro ubbidiente al servizio della causa mutante e modello esemplare di comportamento.
Questa continua trasformazione dei ruoli e delle trame sono il frutto di una gestione (seppur non sempre oculata) continuata, quasi a voler dire che l’evoluzione e la positività del cambiamento sono non solo l’insegnamento che si vuole comunicare con le storie in se stesse, ma una vera e propria vocazione della testata, una filosofia che rimane tale a prescindere dagli scrittori che si susseguiranno al timone delle ormai innumerevoli serie del sottobosco mutante (anche la struttura delle testate sembra ispirata al concetto di molteplicità).
L’originalità e la potenza di questo mondo è d’altronde ampiamente riconosciuta sia nella quasi totale autarchia in cui la Marvel ha isolato il suo gioiello, sia nei continui riferimenti e spunti che il concetto di mutazione riceve all’interno della stessa casa editrice (i mega eventi degli ultimi anni hanno una profonda caratterizzazione mutante, se non nel coinvolgimento dei personaggi almeno nelle tematiche) sia fuori (il recente reboot dell’universo DC sembra prendere in debita considerazione il leit-motiv della mutazione).
Insomma, anche se questo intervento ha il sapore di una disamina appassionata di un ammiratore delle X-serie, è innegabile che il mondo mutante sia un elemento di originalità e diversificazione rispetto a quanto ha da offrire l’intero panorama fumettistico, non dimenticando che, come ci hanno insegnato gli stessi X-Men, questi concetti sono un patrimonio che aggiunge un valore a quelli già innumerevoli che offre il fantastico mondo dei fumetti.