Testi: Bill Willingham
Disegni: Mark Buckingham, Jim Fern
Edizione Originale: Fables: Arabian Nights (and Days) TPB
Edizione Italiana: Planeta DeAgostini, € 11,95

E’ impossibile non venire catapultati, percorrendo questo nuovo capitolo delle Fables di Willingham, nel bel mezzo del nostro scenario internazionale, in quella dura realtà, sconquassata da continue guerre e conflitti interculturali, che purtroppo ben poco ha a che fare con il mondo semplice e potenzialmente positivo di fiabe e racconti.
Bill Willingham non ha mai nascosto l’intenzione di fare del suo fumetto più riuscito lo specchio della realtà in cui viviamo ed il suo voler renderlo teatro delle proprie convinzioni politiche, sociali e culturali diventa quanto mai evidente proprio in questo nuovo capitolo dell’ormai eterna lotta tra le fiabe di Favolandia e le brame di conquista dell’Avversario, l’imperatore delle Terre Natie.
Minaccia nucleare, difficoltà nel comunicare con quei popoli che continuano a sembrarci culturalmente lontani, questione mediorientale ed un pizzico, non tanto pizzico in realtà, di partigianeria occidentale sono gli ingredienti chiave che costellano, per nulla velati o appena accennati, le vignette di Fiabe d’Arabia, story-arc ancora una volta scritto da Bill Willingham e disegnato da Mark Buckingham Jim Fern.
Le Terre Natie non costituiscono nell’universo di Fables un unico monolitico mondo geografico, bensì sono composte da una moltitudine di aree ben più piccole e territorialmente limitate, ognuna delle quali strettamente legata alla tradizione folcloristica e mitologica che rappresenta.
In Fables: Terre Natie avevamo già avuto modo di conoscere la terra di Rus, scrigno di quei miti e leggende proprie delle ghiacciate terre russe, mentre qui, in Fiabe d’Arabia, le attenzioni si spostano sul versante mediorientale, abbracciando l’insieme di tradizioni dell’Asia occidentale. Lampade magiche, perfidi gran visir, affascinanti danzatrici del ventre e scimitarre pronte all’uso. E’ il mondo de Le Mille e una Notte.
Ora, al di là della suggestiva atmosfera e della trama particolareggiata, come già evidenziato, Bill Willingham approfitta dell’ambientazione per fare un po’ di cronaca contemporanea. E così, nella delegazione araba guidata da Sinbad e nella minaccia del genio, non possiamo non scorgere i recenti eventi che vedono l’Iran ed il suo programma di arricchimento dell’uranio al centro del dibattito internazionale. Lo scontro di civiltà diventa fumetto…
Se  una soluzione al problema esiste, lo scrittore la vede nell’accettazione totale del modello etico-comportamentale dell’Occidente, a discapito, quindi, di un dialogo che dovrebbe piuttosto prevedere un rapporto paritario tra le due parti in causa.
Ed ecco così profilarsi all’orizzonte la contrapposizione tra il principe Sinbad, modello vivente di occidentalizzazione, ed il visir Yusuf, che rimane invece ben arroccato alle proprie radici culturali e, da Willingham, dipinto (principalmente per rispondere ad esigenze narrative) con pennellate non propriamente lusinghiere. Sarà quest’ultimo, infatti, a voler utilizzare, simbolo del moderno terrore asiatico, la tanto temuta “arma nucleare”; mentre il primo, avvicinatosi al pensiero ed al modo di comportarsi della civiltà occidentale, sembra aver totalmente messo da parte ogni proposito bellico o, comunque, arrogante e pericoloso.
Sembrerebbe quindi che il modello occidentale venga issato su un podio particolareggiato e descritto (senza essere comunque presentato esente da vizi) come il più corretto ed adatto per una mondiale convivenza.
Sconfitto il malvagio, conservatore e diffidente visir, un Sinbad ormai allettato dalle lusinghe della realtà culturale con la quale è entrato in contatto ritorna tranquillamente alle proprie Terre Natie, dopo aver stipulato un trattato di alleanza con Favolandia ed essersi portato seco un consigliere nella figura di Re Cole.
Dal mondo arabo si passa invece al cuore dell’impero con la seconda storia contenuta nel TPB, The Ballad of Rodney and June, poco attenta allo sviluppo della trama generale (seppure si compie ugualmente un piccolo ulteriore passo avanti, conseguenza di quanto letto qualche pagina prima, con le prime invasioni degli eserciti imperiali ai danni delle frontiere più esterne delle terre arabe), ma dal forte contenuto emotivo.
Willingham si allontana infatti, secondo quel suo modo di fare che lo vede impegnato nello sperimentare storie dal tono di volta in volta differente da frapporre fra un capitolo e l’altro della trama generale, dai problemi della vita a Favolandia e dagli intrighi della lotta contro l’Avversario, per abbandonarsi ad una delicata storia che vede nella ricerca dell’amore dei due protagonisti il perno della narrazione.
In un tenue richiamo alle ballate d’amore cortese di medievale memoria, due dei figli di Geppetto, due manichini di legno incantato, iniziano a provare l’un per l’altra quel sentimento che fino a quel momento sapevano essere proprio dei soli esseri fatti di carne. Il tono dolce ed allo stesso tempo sofferto, in questo caso perfettamente sostenuto e coadiuvato dai delicati disegni di Jim Fern, conduce i due innamorati a veder esaudito il loro desiderio, mentre vengono nel frattempo dall’autore sospinti a prendere parte ad un ruolo ben più importante all’interno della trama principale nei tempi a venire.
Insieme al dono della carne ed ai piaceri dell’amore arrivano però i turbamenti di un’umanità che col tempo sembra voler cancellare il precedente ricordo della natura di legno. E questi turbamenti comprendono anche sensi di colpa e nuove libertà di pensiero.

Who’s Who
(ovvero un breve identikit delle fiabe qui, per la prima volta, apparse).

Sinbad

A guidare la delegazione delle fiabe arabe giunte a Favolandia al fine di aprire un dialogo che potesse in futuro garantire un fronte comune contro le ambizioni dell’Avversario, Bill Willingham ha assunto Sindab il Marinaio, protagonista (ormai ampiamente utilizzato dal mondo della celluloide in svariate pellicole cinematografiche e film di animazione), secondo la relativa fiaba, di sette meravigliosi e stupefacenti viaggi di omerica memoria, il cui resoconto è inserito all’interno della nota raccolta di racconti arabi Le Mille e una Notte, almeno sulla scia dell’organizzazione classica che dell’opera è stata ormai adottata. Questo perché alcuni studiosi, sulla base di una possibile paternità persiana delle avventure di Sinbad, che le vorrebbero scritte in un periodo antecedente all’Impero arabo, propendono per una certa indipendenza dalle Mille, tant’è che non è raro, ai nostri giorni, vederla esclusa dal corpus di favole.
Ambientati ai tempi del califfato abbaside, stirpe salita al trono islamico nel 750 d.C, i sette viaggi di Sinbad presentano una molteplicità di punti in comune con l’Odissea di Omero (a sua volta, per alcuni, ispiratasi proprio alle antiche culture mediorientali), vedendo il novello Ulisse sfidare le meraviglie del mare sconosciuto per affrontare di volta in volta terre magiche e strani esseri mitologici. L’indizio probabilmente più evidente di questo stretto legame tra le due opere è l’episodio del gigante incontrato da Sinbad durante il terzo viaggio e fedele copia del Polifemo omerico.
In Fables, Willingham fa di Sinbad il Marinaio (appellativo necessario per distinguerlo da quel Sinbad il Facchino che ne condivide il palcoscenico dei setti racconti), un emblema di quella occidentalizzazione dallo scrittore vista come processo di estrema naturalezza e positività; anzi, quasi l’unica soluzione al tanto paventato “problema mediorientale”.

Genio

E’ nelle Mille e una Notte, nel racconto Aladino e la lampada meravigliosa (ma non solo), che l’immagine del genio rinchiuso all’interno di una lampada, in grado di esaudire i desideri di chi la possiede, parte alla conquista del mondo. Da quel momento in poi, la figura del genio, il jinn arabo, si lega indissolubilmente a questa nuova forma, lasciando decadere quelle che invece erano state per secoli le sue mistiche e tradizionali capacità. Questo perché il genio, prima ancora che personaggio delle fiabe, nasce come essere coranico, e quindi oggetto di fede per i credenti musulmani. Intermediario tra il mondo degli angeli e quello dell’uomo, il jinn sarebbe stato creato da una fiamma che non sprigiona fumo, e, come i suoi fratelli in carne ed ossa, dotato del libero arbitrio.
Creature dai poteri di metamorfosi, composte di fumo e abitanti di un piano parallelo a quello degli esseri umani, i geni possono svolgere una funzione di spiriti tutelari per gli uomini o, piuttosto, di entità maligne dedite all’inganno ed alla crudeltà.
In Fiabe d’Arabia,  il genio è forse il personaggio più interessante e meglio caratterizzato dell’intero storyarc, descritto da Willingham come una vera e propria arma nucleare pronta a minacciare l’esistenza stessa non solo di Favolandia, ma del mondo intero.
I geni sono infatti presentati come esseri quasi del tutto composti di magia, e quindi invincibili a qualunque arma di cavaliere o incantesimo di strega. Solo l’astuzia di Frau Totenkinder, la strega di Hansel e Gretel, riuscirà infine a salvare la situazione.
Nel narrare la storia di questa magica genia, Bill Willingham ricorre ancora una volta alle Mille e una Notte, chiamando in causa il grande Salomone (nella traduzione italiana confuso, erroneamente, con tal Solimano, nome appartenuto a due emiri arabi), secondo la tradizione in grado di controllare i geni e di imprigionarli proprio all’interno di bottiglie.
Va da sé che il genio di Willingham (cit. “E loro non hanno nessuna regola, nessun senso del bene o del male”) è molto più vicino alla versione folcloristica che a quella coranica.

Sidi-Nouman e la Bella Persiana


Per aver salva la vita, la bella Sharazad, condannata a morte dal sultano, ha la brillante idea di tenerne sempre vivo l’interesse raccontandogli ogni notte una storia, badando però bene a interromperne la narrazione appena prima dell’albeggiare, riservando così il seguito per la notte successiva.
Solo dopo 1001 storie, (il titolo arabo originale del primo nucleo di quello che sarebbe stato il corpus moderno de Le Mille e una Notte era infatti Le Mille Favole) la vita di Sharazad sarà graziata, essendosi, dopo tanto parlare, il Sultano stesso innamorato di lei.
Sidi-Nouman e la Bella Persiana sono due dei tanti protagonisti che affollano queste magiche notti di racconti. Protagonisti di due differenti storie, ma entrambi da Willingham utilizzati nella medesima scena, seppure sotto le ammalianti sembianze della Bella Persiana si nasconda in realtà il jinn del visir Yusuf.

Apostrofato con epiteti quali rinomato stupratore di cavallirinomato marito di divoracadaveri e  cane che è anche uomo… O forse il contrario, e poi dal genio ucciso, Sidi-Nouman, in Fiabe d’Arabia fidato alleato di Yusuf, è personaggio di uno dei racconti più bizzarri di Sharazad, che lo vedono impegnato a competere con la moglie, una maga divoratrice di cadaveri.
Raccontando della propria disavventura al Califfo Harùn ar-Rashi’d, l’uomo ricorda di come scoprì la macabra usanza della consorte e come fu da questa trasformato in cane non appena resasi noto di essere stata smascherata. Dopo aver vissuto per qualche tempo presso un fornaio, Sidi-Nouman riacquisterà le sembianze umane grazie all’aiuto di un’altra maga, che gli consentirà a sua volta di vendicarsi della moglie tramutandola in cavallo.
Bill Willingham ne descrive quindi la vicenda passando in rassegna le fasi più salienti della storia grazie all’utilizzo di tre sole battute.

Le vicende della Bella Persiana sono invece meno impressionanti, anche se maggiormente complesse da un punto di vista narrativo. Schiava dalla sensazionale bellezza, la Bella Persiana si vede presto sposa del figlio di un Gran Visir che l’aveva acquistata per il sovrano. La sua beltà, unita ad una saggezza ed intelligenza composta e pratica, le permetteranno di risolvere gli svariati problemi che la vita matrimoniale porterà seco.