Testi: Frank Miller
Disegni: Jim Lee
Edizione originale: All Star Batman & Robin the Boy Wonder
Edizione italiana: Cartonato Planeta DeAgostini, 256 pp., colori, 20 €.
C’era una volta Frank Miller. All’epoca anche nel mondo del Fumetto esistevano gli dei. Divinità del calamaio che venivano acclamate da moltitudini di fan con fogli e penna alla mano in attesa di un autografo presso l’aeroporto di turno.
Demiurghi, per usare un termine platonico, che hanno “plasmato” alcuni personaggi con l’inalienabilità della loro impronta, segnandoli per sempre con il loro genio. Oggi parleremo di uno di questi dei, della sua morte per mano della mediocrità moderna, e dell’eredità costituita dal suo capolavoro assoluto.
Nel lontano 1979 il giovane e promettente fumettista Frank Miller faceva il suo ingresso nel mondo del fumetto che conta, e cominciava da subito a mostrare quei tratti dominanti che lo avrebbero caratterizzato da quel momento fino a oggi.
Per Miller il fumetto è Arte e mezzo di comunicazione. Una sintesi che affonda le proprie radici agli albori dell’umanità, nell’epica. Il termine epica significa “parola”. In un mondo in cui non esistevano mass medie moderni, la poesia epica era un canale di comunicazione ottimale.
Miller comprese forse per primo con chiarezza di come il Fumetto sia Epica moderna. Composto anch’esso di un momento mimetico e di uno diegetico, il Fumetto ritrova negli Eroi in calzamaglia gli eredi di quel filone mitologico e leggendario che contrapponeva figli di dei e di re in sanguinose avventure sul campo di battaglia. Se un tempo la funzione dell’epica era di esaltare un certo lignaggio o il “modus cogitandi” della classe dominante, oggi il fumetto è il propagatore di quei valori che l’autore di turno ritiene universalmente giusti e nobili, rispetto a una realtà che ci colpisce sempre di più con la sua marcata distanza dall’Ideale.
Miller ha saputo farsi interprete di questo concetto nel corso di tutta la sua vastissima produzione: da Daredevil, a Sin City, a Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, a Ronin, etc. Ma in All Star Batman il suo stile trova finalmente la sua definitiva consacrazione: forse con la maturità artistica e personale ormai pienamente raggiunta, Miller trova il coraggio di distaccarsi da quelle che sono le necessità di “politically correct” intrinseche al fumetto mainstream, per dirci veramente come la pensa. E non avrebbe potuto farlo in maniera più chiara.
Il Batman alle cui gesta si assiste in All Star Batman, è un uomo che vive fuori dal mondo, e che rifiuta di averci niente a che fare. Batman è in guerra con la realtà che lo circonda.
Come Bruce Wayne, deve cedere ai compromessi che la società e il suo ruolo gli impongono, come Bruce Wayne deve recitare la parte di tassello fondamentale di quel mosaico di marciume e laidezza che è Gotham. E’ un ricco che può permettersi il lusso di chiudere gli occhi davanti all’ingiustizia e all’iniquità, e il copione che egli stesso si è scritto gli impone di palesare il suo estremo agio nello sguazzare in tale lusso.
Come Batman però, la sua guerra al crimine non è solo annunciata, ma voluta, abbracciata.
A Gotham City il crimine è il sangue vivo che scorre negli uffici, per le strade, nelle case; è il DNA di una città sordida e viziosa. E’ la caricatura, ovvero sia l’estremizzazione, di tutto ciò che di marcio c’è nella nostra società: l’abuso di potere da parte dei funzionari pubblici, l’esaltazione del corpo e del sesso come strumenti di imposizione sociale, il teppismo e il bullismo dilagante nelle strade, l’imbarbarimento culturale ed esistenziale delle ultime generazioni.
Batman si erge contro tutto questo e dice basta. Il suo rifiuto non ha ancora assunto i contorni della crociata contro il crimine, ma piuttosto dell’individualistica esigenza di sfogare la sua rabbia contro un mondo che non gli appartiene e che non riconosce come suo.
Batman è un uomo nato nel secolo sbagliato, imprigionato nella gabbia della modernità. L’incudine sulla quale è stata temprata la sua convinzione non è l’assassinio dei suoi genitori, ma la presa di coscienza che quella feccia non può essere definita peggiore dei poliziotti corrotti che dovrebbero fermarla, o dei burocrati lascivi cui affidiamo la regolarità e la serenità del nostro quotidiano, e financo della gente comune che si volta dall’altra parte mentre ti rapinano o ti stuprano.
Come potrebbe un uomo sano di mente vivere in un mondo come questo? L’alternativa non è che un folle egoismo, un’affermazione di sé, una volontà di potenza.
Bruce Wayne è un uomo nel pieno della sua potenza fisica; ricco oltre ogni immaginazione, dotato di gadget dieci anni più avanti delle più moderne tecnologie in commercio, forgiato da anni di studi di diversa natura è riuscito a spingere la propria mente e il proprio corpo oltre i limiti dell’umano.
E si sente onnipotente per questo, voi non lo fareste? Come si può chiedere a un uomo che ha la forza e l’abilità di un semidio, nonché i soldi sufficienti per poter tramutare in realtà tutti i suoi desideri, di non sentirsi onnipotente?
Il vero miracolo è che Wayne abbia deciso di indirizzare la sua brama di dominio verso la feccia, piuttosto che divenire feccia egli stesso.
L’incipit e la svolta della storia, quello che porterà il Batman delle origini, il vigilante spietato di Kane e Finger che girava con la pistola e non si dispiaceva di mandare frotte di criminali in rianimazione, a diventare il Batman che noi conosciamo e amiamo da settant’anni, poggia su un evento classico della mitologia del Cavaliere Oscuro: l’incontro con Dick Grayson.
Tutti i tasselli, nella mente di Miller, sono perfettamente coerenti con se stessi e con il quadro d’insieme. In Year One, un giovane Bruce Wayne tentava le sue prime sortite come Uomo Pipistrello, cercando di gestire le problematiche scaturite dalla sua inesperienza e dalla sua iniziale incapacità a gestire la Maschera e la teatralità. In Spawn-Batman, Bruce è ormai divenuto più confidente nei propri mezzi, e comincia a sviluppare quel pizzico di follia psicotica che spesso si accompagna al delirio di onnipotenza e alla consapevolezza di non poter essere fermati.
Poi arriva All Star Batman: il fumetto che riunisce due Giganti del fumetto come Frank Miller (Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, Il Cavaliere Oscuro Colpisce Ancora) e Jim Lee (Batman: Hush). Criticato per i clamorosi ritardi nelle uscite, per le esagerazioni, per l’uso smodato di parolacce e slang, per le iperboli narrative e alcune trovate grottesche che ricordano l’Ennis più becero. E tuttavia un capolavoro. Perché?
E’ un giusto giudizio dei dotti che gli uomini di tutti i tempi abbiano creduto che cosa sia bene e male, degno di lode e di biasimo. Ma è un pregiudizio dei dotti che noi adesso lo sappiamo meglio di qualsiasi altro tempo.
– Friederich Nietzsche
Nel suo tempo, Miller sarebbe ancora dio e All Star Batman sarebbe omaggiato come il capolavoro che è. Nel nostro tempo però, dio è morto, e l’epicità guascona e straripante, la poesia guerriera e ribelle di ASB, vengono tacciate di esagerata immodestia e desueto esibizionismo, ormai non più conforme ai tempi moderni.
Da quando ha cominciato a camminare lungo le strade del Fumetto, a Miller piace correre. Ma la critica moderna, e anche i lettori, impigriti a mio modo di vedere da una società che ci ha tolto progressivamente il modo di pensare e di sognare, non ama chi corre. La mediocrità percepisce la grandezza come una prevaricazione.
Il messaggio fondamentale per Miller è che il crimine è sbagliato. Deve intendersi come “crimine” anche la maleducazione, la volgarità, l’imbarbarimento dei costumi, la prevaricazione, ovvero sia anche tutta quella serie di comportamenti sbagliati che quasi mai sono sanzionati dal codice penale.
Nella mente di Miller, la guerra al crimine attraversa due passaggi fondamentali: l’eroe veste i panni del nemico per poterlo meglio combattere, quindi muore. E’ un concetto di eroismo profondamente romantico, radicato nella simbologia dell’ “eroe perdente” di nipponica memoria.
Nella mentalità giapponese non si richiede a un eroe di vincere in ogni circostanza, di riuscire sempre nelle imprese. Si richiedono altre qualità: l’onorabilità, la lealtà, l’etica, il valore. Concetti che Batman, pur nelle psicosi con cui Miller si diverte a connotarlo in ASB, dimostra a più riprese di aver fatto indelebilmente suoi. La spettacolare veduta della Bat-caverna disegnata su più pagine apribili da un Jim Lee veramente in stato di grazia, è emblematica dell’amore di Batman per i genuini sapori antichi della tradizione guerriera: l’antro del Pipistrello è un museo in cui il Crociato Mascherato esalta e ricorda i suoi “predecessori”, nella forma di diverse carrellate di armature greche, romane, samurai, protette da teche di vetro anti-ossidanti che ne proteggano la bellezza e il valore di chi un tempo le indossò; di armi di vario taglio e tipologia lucidate e curate con maniacale attenzione fino a restituire alla luce la loro stessa anima celata sotto la lama.
E’ un uomo leale, fedele, generoso e gentile con quel passato che tanto lo affascina che tanto sente affine a se stesso. Ma è un uomo altrettanto disturbato, psicotico, irriverente e criminoso con quella realtà che invece rifiuta, disprezza, e cui ha deciso di dichiarare guerra.
Il Batman di All Star è come dovrebbe essere una persona reale che assiste alla morte per omicidio di entrambi i suoi genitori e decise per questo di imbarcarsi in una personale e solitaria crociata. Stiamo parlando di un uomo che di giorno recita la parte del miliardario dandy e superficiale solo per vestirsi poi da Dracula ogni notte; una persona sana di mente lo riterrebbe uno schizzato, uno con molti problemi, un sociopatico. Ed è tale e quale ce lo racconta Miller. Perché chi ama Batman non può chiudere gli occhi davanti all’evidenza della sua follia intrinseca: chi ama Batman sa che è un uomo disturbato. Il che nulla toglie al suo eroismo, alla sua intelligenza finissima o al suo carisma indiscusso.
In All Star assistiamo a un Batman che investe poliziotti con la Bat-mobile, che ride a gran voce mentre manda dei teppisti all’ospedale, che costringe Robin a cercarsi da solo la cena uccidendo qualche ratto o pipistrello, che prende Black Canary sotto la pioggia mentre il mondo attorno a lui collassa.
E’ ovvio che un simile Batman faccia storcere la bocca a chi si è infarcito di serie regolari e politically correct per anni. Ma il senso di straniamento dura soltanto il poco tempo che serve a farci l’abitudine. Superata quella sensazione di “stacco” da un livello all’altro, potrete immergervi pienamente in questo capolavoro assoluto di profondità psicologica, di verità archetipica, di esaltazione grafica. Il Batman di All Star è finalmente e veramente l’incarnazione perfetta di ciò che Batman è sempre stato detto essere ma che, per pudore, non ci è mai stato fatto vedere.
Fondamentale è poi in questo senso il personaggio e il punto di vista di Robin, che di solito nelle altre storie veniva relegato sempre in secondo piano: Dick è non soltanto una straordinaria cartina di tornasole per comprendere pienamente la psicologia del personaggio Batman, ma diviene anche l’ancora di salvezza effettiva di Bruce contro la follia. La solarità, l’ingenuità, l’acutezza del ragazzo nel toccare i punti dolenti e i blocchi psicologici della mente di Bruce, aiutano il miliardario a smorzare la sua paranoia e a rendersi conto che è facile, quando si ha il potere vero, lasciarsi prendere la mano. Robin è un deterrente fondamentale contro la deriva violenta di Batman, e lui lo sa. Ecco perché non ne farà mai a meno, e ci sarà sempre un Robin nella vita di Batman.
Con Robin, Batman si rende conto che c’è ancora una possibilità di redenzione per questo mondo alla deriva. Attraverso gli occhi di un bambino impaurito cui è toccata in sorte la sua stessa tragedia, Bruce osserva l’alternativa di un domani diverso e migliore.
E qui arriviamo addirittura al metafumetto: dopo la parentesi del Batman delle origini, sinistro, tetro, spietato e capace di uccidere, solo con l’avvento del “colorato” Pettirosso Batman svilupperà la sua avversione per le armi da fuoco, il suo senso della giustizia e del limite, la sua attuale connotazione equilibrata pur con punte di psicosi, e la sua guerra al mondo si trasformerà in guerra al crimine.
In ASB, il vecchio Batman, il Bat-man di Kane, muore quando incontra l’affetto per Robin. La violenza e la follia si spengono nell’abbraccio fra un padre e un figlio.