Let’s rock!

Il breve racconto che segue, nasce dall’incapacità del sottoscritto nello scrivere una semplice analisi o recensione su uno dei serial tv più famosi di sempre: Twin Peaks.
Quando spopolava sulle reti italiane circa vent’anni fa, ricordo che l’opprimente tagline del telefilm veniva proposta in maniera assordante: Chi ha ucciso Laura Palmer?
La serie l’avrei vista molti anni più tardi, nel 2008, sotto consiglio di un caro amico.
E fu amore all’improvviso.
Twin Peaks è un capolavoro di cui è veramente difficile parlare perché al suo interno contiene una miriade di sottogeneri sapientemente miscelati, una miriade di personaggi e sottotrame a più non posso che spiazzerebbe il più volentieroso degli scribacchini.
Ma sul serial hanno scritto abbastanza e a lungo: da qui – visto che a Twin Peaks ci penso spesso e volentieri – l’idea di omaggiarlo con genuina riverenza.
Per chi ha visto il serial, spero apprezzerà quanto segue, e per chi non l’ha visto… beh, probabilmente non ci capirà nulla, ma spero si rifaccia scoprendo questo gioiello senza tempo della tv.

Credo di essere in un sogno.
Mi ritrovo in una strana stanza… sembra più una sala d’attesa, direi.
Le tende, di un rosso color sangue, cadono sul pavimento quasi fossero lacrime di milioni di angeli.
Il pavimento ha un che di ipnotico, nel suo freddo e ripetitivo schema a zig zag: ha lunghe strisce bianche e nere che si accavallano nevroticamente l’un l’altra, facendo uno strano gioco.
Sembra il terreno ideale per un’eterna lotta. Ma io non saprei proprio da che parte stare.
Non è questo che cattura la mia attenzione, no.
Di fronte a me, sono sedute tre persone.
Una, alla mia sinistra, è un uomo di mezz’età circa.
Ha i capelli con la riga di lato, perfettamente impomatati; il suo è lo sguardo di chi cerca domande di impossibile risposta.
Sembra un tutt’uno con la poltrona, quasi si fosse congelato in essa, in un tempo che non è più il suo, in un luogo in cui non dovrebbe affatto esserci.
Alla mia destra un divano, dove siedono uno strambo nano vestito di rosso, e al suo fianco una ragazza dall’aria malinconica ed enigmatica al tempo stesso, con un lungo vestito nero.
Anche se mi avvicino a loro, non vengo affatto notato.
È strano, non capisco cosa dicono.
L’uomo alla sinistra non parla, a farlo è il nano con una voce che fa paura, perché se l’ascolti sembra metallica, quasi parlasse all’inverso. Possibile?
Aspetta. Ho proprio sentito bene?
Ha detto:
Qu-elah gho-mma che ti piasce-uah tant-uo sta tu-ornan-do di mo-dah?
Lo dice con il suo tono impossibile da replicare, ma forse ho capito male io.
Ha strane movenze… si rivolge alla donna alla sua sinistra, però non riesco a capire più nulla, tantomeno di quello che dice la donna.
Lei sì che mette i brividi: la sua voce, il suo sguardo, i suoi capelli biondi, lisci e infiniti…
Una cosa la capisco però, è un qualcosa come:
Ci rivedremo tra 25 anni.
E compie un gesto incomprensibile con le mani.
C’è musica nell’aria, dita schioccano seguendo il ritmo.
Il nano inizia a muoversi scrollando le spalle e agitando lentamente le sue gambe corte, in quello che sembra un ballo disturbante.
Ancestrale.
Indecifrabile.
Ma io non riesco a toglierli lo stesso gli occhi di dosso.
Un attimo dopo non mi trovo più in quella stanza rossa.

Sono altrove.
Un ragazzo con un chiodo viaggia via in moto, è molto triste.
Un altro, ad un funerale, sembra posseduto dal male incarnato.
Nel salotto di casa sua, una donna davvero stremata ed esaurita dal dolore, vede un cavallo bianco.
Da un pezzo di legno, fuoriesce una testa urlante di una donna, credo sia orientale, sì, lo è assolutamente… urla, poveretta, ma non la ascolta nessuno.
Un adulto sembra un bambino, steso a terra mentre gioca con dei soldatini alla secessione: strano però, vuole far vincere i sudisti.
Una donna che ha perso il suo marito, trova conforto e risposte in un ceppo che tiene in braccio.
Aspetta, questa è davvero assurda…
C’è una ragazza, assomiglia molto alla donna del sogno; è più piccola, ma ha i capelli di un colore diverso e porta gli occhiali.
È semplicemente terrorizzata. Come potrebbe non esserlo?
Da dietro il divano, spunta una figura viscida e terrificante: un uomo dai lunghi capelli grigi e incolti, con jeans e camicia a quadri, un gilet di jeans… ride, più si avvicina a lei, che giace a terra in uno stato di assoluto terrore, più lui ride con il suo sguardo malefico e assatanato, avvicinandosi sempre più alla povereretta…

Non sono più in quella stanza.
Lasciata quella figura spaventosa, a proposito, poteva essere un uomo?
Sembrava quasi uno… spirito?
Comunque, lasciata quella figura spaventosa, mi ritrovo in un bar.
Mi piace, è caldo e accogliente, non c’entra nulla con quanto ho visto finora.
Sono seduto, e di fronte a me c’è lo stesso uomo della stanza rossa. Solo molto più giovane.
Non nota la mia presenza.
Ordina una fetta di torta di mirtilli e un caffè.
Dice alla cameriera – davvero carina, solo, ha gli occhi davvero stanchi – che vuole un caffè.
Ma non un semplice caffè, vuole un “buon” caffè.
Lo porta alle labbra, ne beve appena un po’ e chiudendo gli occhi esclama:
Questo sì che è un buon caffè!
Posa il caffè, alza lo sguardo e, notandomi, accenna ad un sorriso.

Sono di nuovo altrove.
Una ragazza… bella, sensuale, sembra una pin-up anni ’50… dicevo, questa ragazza ha addosso degli abiti abbastanza discinti, non capisco perché sia in preda al panico, si trova su di un letto. Cos’è… una specie di bordello, uno strip-club… aspetta…
Di nuovo.
Sono in un bosco.
Sento un gufo nelle vicinanze, ci sono dei binari non troppo lontano.
Vedo però qualcosa a cui stento a credere.
Una ragazza ha solo degli stracci addosso, cammina a stento, che sia stata violentata?
Pare sia in uno stato catatonico, cammina per inerzia.
Un’altra volta.
C’è una signora con capelli e vestito rossi.
Dietro di lei un aereo.
La signora fa gesti incomprensibili con le mani e le labbra.
Attaccata al petto ha una rosa blu.
Non dovrebbe, ma mi fa paura quanto quel dannato hippie del divano.

Altro stacco.
Un bambino con una maschera di carta pare fissarmi. Ha capelli biondi e la maschera ha un naso lungo a mo’ di Pinocchio.
Basta.
Non mi piace più.
Questo sogno è un incubo.
Non che mi dispiaccia, mi piace cogliere i simbolismi tra le piega delle lenzuola di Morfeo, ma non accenno a svegliarmi.
Prendi adesso.
Pazzesco.
Sono seduto su di un divano, guardo le mie mani. Hanno quattro dita, sono paffute e gialle.
In televisione un cavallo bianco balla con un gigante.
Se allungo lo sguardo fuori dalla finestra, in questa notte buia e ventosa mi pare di scorgere un semaforo rosso. Si muove col vento, che mi indichi qualcosa?

Ora sono in un locale.
Sono seduto, e intorno a me vedo facce conosciute, facce che ho visto durante il sogno.
Guardano tutto in direzione del palco. Sta per cantare una ragazza.
Intanto, un vecchio cameriere, molto magro, si avvicina a me con fare gentile; mi dice qualcosa, ma la ragazza inizia a cantare.
La sua voce è angelica, tocca il mio cuore e, prendendomelo, non me lo ritorna più.

Chiudo gli occhi, e vedo che i luoghi che ho girato in questo sogno sono tranquilli, dovrebbe essere il luogo più bello del mondo. La natura, gli alberi, gente strana ma buona.
Perché allora tutti sembrano nascondere dei segreti? Perché…
I gufi non sono quello che sembrano?
Un attimo. Cosa ho appena detto?
No, non sono io a pronunciare questa frase.
Un gigante (assomiglia a quello visto in tv) si staglia di fronte a me.

Mi sveglio.
Stranamente, ho i capelli ingellati e il ciuffo completamente all’insù.
Vado per scendere dal letto ma non appena tocco terra mi ritrovo in quella maledetta stanza rossa
di inizio sogno.
Ho un vestito nero addosso, vedo il gigante e il nano.
Li seguo.
Oltrepassata al soglia di quelle tende rosse, l’inferno. Letteralmente.
Vedo gente che urla e che si insegue, tra corridoi immersi in tende rosse e pavimenti criptici.
C’è un mio doppio, mi corre dietro.
Ho paura, non riesco a guardarlo in faccia e ciò costa la mia stessa vita.

Una fredda mattina, un vecchio dedito alla pesca trova qualcosa in rive al fiume.
Più tardi, lui e altri uomini scoprono il corpo di una giovane donna in un sacco di plastica.
Lo aprono. È bionda e bellissima.

Mi sveglio nella mia camera del Great Northern Hotel.
Il lunghissimo sogno si è concluso.
Questa volta ho i capelli a posto, ma sento che c’è qualcosa che comunque non va.
Vado verso il bagno, e… do una violenta testata al vetro dello specchio, insanguinandomi copiosamente la fronte e il viso.

Mi guardo allo specchio e inizio a ridere come un matto, come se fossi posseduto.