Arkham Asylum

Nov 12, 2015

Autore: Grant Morrison
Disegni: Dave McKean
Albi originali: Arkham Asylum (1989)
Edizione Italiana: in Corto Maltese, anno 9 n. #7, #8, #9 (1991); Batman: Arkham Asylum, cartonato Play press (1997); Batman: Arkham Asylum, edizione Play press 15° Anniversario (2005), Absolute Edition cartonato oversized Planeta DeAgostini Comics (2008), Batman: Arkham Asylum Absolute, RW-Lion (2012); Batman: Arkham Asylum Deluxe, RW-Lion (2014); Batman: Arkham Asylum (Grandi Opere) Ed.RW-Lion (2015);

“Io non voglio stare tra i matti” – esclamò Alice
“Oh, non puoi farci niente” – disse il gatto – “qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta”
“Come fai a sapere che sono matta?” – chiese Alice.
“Devi esserlo” – disse il gatto – “altrimenti non saresti qui”. (Lewis Carroll)

Esordisce così il capolavoro di Grant Morrison, un volume che racchiude un viaggio, ma non nel senso canonico del termine. Un viaggio onirico, alienante, celebrante un incubo, un itinerario dantesco. Questo non è il solito fumetto mensile o il TP da comprare per il relativo periodo storico e la relazione con fatti e vicende di continuity. Questa è un’opera eccellente, un must da dover per forza tenere in rilievo nella propria collezione. Un lavoro che vive di luce propria e splende ancora nell’olimpo del fumetto mondiale, pure a distanza di anni. Al caro Grant non sono mai piaciute le solite storie d’azione fini a se stesse, le classiche batoste prese dal “villain” di turno. E non ha mai nemmeno gradito più di tanto le trame simil-noir. A Grant piace la profondità del personaggio, la passione nel suo ideale, nel suo background psicologico.
Drammi familiari, ricordi infranti e calpestati da traumi infantili, la storia dell’Arkham Asylum si dipana tra malattia mentale e dedizione alla prassi medica. Il viaggio è sempre intervallato dai flashback del fondatore dell’istituto: Amadeus Arkham. La sua infanzia, segnata dalla malattia mentale della madre, si trascina in un istituto angustiante, romito ed astraente. Ma il suo interesse per la malattia mentale si evolve in ossessione, aspirazione implicita di scoprire cosa si cela nell’infermità psichica. Ed è allora che il perverso diviene quasi razionale.

“Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri”, affermava l’illustre Carl Gustav Jung. La dicotomia vigente tra la figura del Dott. Arkham e Bruce Wayne, travolto dagli eventi scatenanti delle sue fisime, riempie ogni pagina e si evolve in un susseguirsi di eventi anche tragici che ostacolano la ricerca di una logica plausibile della realtà. Batman si trova a dover accettare l’invito del Joker all’istituto criminale, preso nel mezzo di una rivolta dei pazienti. Due Facce, lo Spaventapasseri, il Cappellaio Matto, Killer Croc, Clayface, Dott. Destiny e molti altri avranno finalmente l’opportunità di giocare con la propria nemesi nel luogo dove tutto perde senso e dove tutto si sgretola in un marasma confusionario e freddo.

“… Paura?… Batman non ha paura di nulla. E’ per me che ho paura… ho paura che il Joker possa avere ragione. A volte metto in dubbio la razionalità delle mie azioni. E ho paura che quando varcherò le porte di quel manicomio… sarà come essere di nuovo a casa” (Batman)

La personalità di Due Facce – tormentato dal profondo e per nulla aiutato da una cura pressoché destabilizzante – e quella del Joker – agghiacciante e intrisa di peccato, il suo sguardo è un vessillo di follia – sono tracciate ad arte. Ma se il Joker gioca una ruolo determinante e del tutto consono alla sua essenza, la figura del Dottor Arkham si staglia come un ombra immortale in tutto il manicomio, uno spettro che permea le pareti – tremendamente labili, come quelle della mente di un uomo – e ne consacra, tramite un’atavica malattia, il fato maniacale e drammatico. Il perverso diviene quasi mistico agli occhi del fondatore dell’istituto di cura e riporta la sua indole alla genesi della sua psicosi.

Morrison ci incanala in uno specchio infranto dal non cosciente, dal latente che diviene caposaldo, la scissione delle menti prende forma attraverso le tavole sorprendenti di Dave McKeane. L’impaginazione è insolita e non segue il normale stile fumettistico. Un po’ come la mente di un recluso di Arkham vaga e passa a scatti tra una figura e l’altra, sovrapposizioni di immagini si alternano su sfondi che delineano pezzi di realtà sconnesse, nevrosi dipinte. Le sue tavole non sono pagine di un fumetto ma espressione più alta di correnti artistiche, a metà strada tra simbolismo ed espressionismo; i colori lividi e scuri; le sue figure ombre in movimento, come in un’astrazione pittorica, e del tutto coerente con il tema del volume. Stoffe strappate ed insanguinate, interni e lancette di antichi orologi, in un universo atemporale e a volte sconnesso dalla logica; spettri che riflettono soltanto le nostre stesse fobie più recondite e, al di sopra, come fossero schizzi delineati da una tavolozza usata ad arte, le vicissitudini di un eroe interrotto e disorientato.

A cura di Giorgio D’Orazio