MEGLIO UN GIORNO DA LEONE CHE CENTO DA PECORA? LA SUPPOSTA ANTROPOLOGIA DEL LETTORE MEDIO

 

Dopo aver lungamente parlato di personaggi, storie e autori cambiamo ora il soggetto della nostra analisi: occupiamoci finalmente dei lettori.

Esiste veramente una nutrita schiera di lettori (si sta sempre parlando del mercato dei comics statunitensi, è bene ricordarlo) composta da individui dal basso livello culturale, privi di stimoli artistici e intellettuali, dalla visone limitata, che con le proprie scelte superficiali, poco informate e consapevoli  e troppo poco attente alla qualità, determina un panorama editoriale piatto e scadente?

A mio avviso no.

Sono del parere che le premesse che stanno alla base di un ragionamento che arriva a questo tipo di conclusioni siano errate.

Quello che ritengo sia fuorviante è focalizzarsi sul concetto di “qualità” (che è estremamente complicato da definire), stabilendo, in riferimento ad esso, quella che si ritene dovrebbe essere una corrispondenza in termini di vendite e riscontro da parte del pubblico.
Più che cercare di comparare prodotti diversissimi tra loro e ordinarli sulla base di una scala qualitativa (che si pretende poggi su parametri oggettivi), che negli auspici dovrebbe poi essere speculare alle classifiche di vendita, io metterei al centro di tutto la domanda: quale è la funzione di questo fumetto?
E, in base alla sua funzione, in che misura la riesce a soddisfare?

E’ poi opportuno tenere presente che il fumetto è in competizione con altri medium, cosa della quale ci si dimentica troppo spesso.

Provo a spiegarmi meglio.
Le persone hanno una vasta gamma di bisogni, e di volta in volta scelgono il modo più appropriato tra quelli disponibili per soddisfarli.
Svago e divertimento sono indubbiamente due bisogni propri dell’uomo, così come lo sono quello di ampliare le proprie conoscenze o di provare a rispondere, attraverso l’utilizzo di strumenti acquisiti al’esterno della propria persona, ai dilemmi di natura esistenziale insiti nell’essere umano.

Il constatare che, in ambito fumettistico, in questa fase sembrano godere di maggiore successo prodotti maggiormente orientati alla soddisfazione del bisogno di intrattenimento è indice del fatto che la maggioranza delle persone si limita ad avere bisogni “bassi”?
Ciò potrebbe essere (forse) sostenuto se il mondo del fumetto made in Usa costituisse l’unica opzione disponibile attraverso la quale soddisfare l’intera gamma dei bisogni umani alla quale si accennava qualche riga più su.

Walter Block, professore di Economia alla Loyola University di New Orleans e attivista politico presso le fila del Libertarian Party, ha scritto un libro che si intitola “Difendere l’indifendebile” (pubblicato in Italia dall’editore Liberilibri).

Qui di seguito riporto una breve descrizione del suo contenuto.

Un testo oltraggioso e divertente, e tuttavia spietatamente logico, che col rasoio dell’intelletto restituisce positiva ragion d’essere a figure oggetto di universale disprezzo, relegate nel lazzaretto dei bricconi e dei nemici dell’umanità (il ruffiano, il porco maschilista, il poliziotto corrotto, il ricattatore, lo speculatore, il crumiro, …)
Un libro che è stato tradotto in più di dieci lingue e di cui due intelligenze egualmente libere e pur tanto lontane così hanno detto:

Sfogliando Difendere l’indifendibile ho avuto l’impressione di essere nuovamente esposto alla terapia d’urto con cui, più di cinquant’anni fa, il compianto Ludwig von Mises mi convertì a una posizione liberista coerente. Persino adesso rimango a volte incredulo, e penso “ora si esagera”, ma di solito concludo alla fine che lei abbia ragione. Per alcuni potrà sembrare una medicina troppo forte, ma farà loro del bene anche se la odieranno. Un’autentica comprensione dell’economia richiede che ci si liberi da illusioni e pregiudizi a noi cari. Errori diffusi in economia si esprimono spesso in pregiudizi infondati verso altre attività, e nel dimostrare la falsità di questi stereotipi lei rende un autentico servigio, sebbene questo non la renderà certo più popolare.
(Friedrich A. von Hayek)

Un libro sensato per acutezza ed estremo per analisi dei luoghi comuni intrinseci al Pensiero Perbene della maggioranza su tabù e discriminazioni sociali. Uno stringente discorso sulle perversioni di fondo di chi punta il dito sulle perversioni di superficie altrui, un testo, forse l’unico, che avrebbe potuto cambiare il destino di Bouvard e Pécuchet. Difendere l’indifendibile è non solo in gran parte difendibile, ma ormai del tutto irrinunciabile.
(Aldo Busi)

Ora, può essere che per soddisfare (come effettivamente faccio!) la mia esigenza di divertimento e intrattenimento io reputi la lettura dello Spider-Man post-OMD preferebile ad una serie di alternative (come ad esempio la visione di un reality show piuttosto che di una fiction televisiva o il videogiocare), mentre se sento la necessità di qualcosa di estremamente provocatorio, fortemente anticonvenzionale e sopra le righe e politicamente scorrettto fin quasi all’accesso io opti per la lettura di un libro tipo “Difendere l’indifendibile” di Walter Block piuttosto che per la lettura di una delle serie attualmente pubblicate dalla Vertigo.

Oppure, qualora decidessi di soddisfare un certo tipo di stimoli intellettuali attraverso il fumetto, potrei optare, sempre restando nell’ambito della produzione occidentale, per la lettura del Dylan Dog di Tiziano Sclavi piuttosto che per il Corto Maltese di Hugo Pratt o per una delle innumerevoli opere di eccelsa fattura appartenenti alla corrente franco-belga (mi limito a citare, a titolo di esempio, Persepolis di Marjane Satrapi, che offre più riflessioni di carattere politico e sociale di qualunque altro fumetto abbia mai letto in vita mia).

Quindi, riprendendo la domanda di prima: i lettori di comics americani sono privi di stimoli, bisogni e interessi intellettivi e culturali di “alta levatura” oppure semplicemente li soddisfano in modo diverso rispetto alla lettura dell’attuale produzione indipendente (e, più in generale, “d’autore”) americana perchè essa non risponde in modo soddisfacente alle loro esigenze?

 

IL FUMETTO SUPEREROISTICO MAINSTREAM: UN MOSTRO ONNIVORO?

L’industria supereroistica mainstream è dunque una sorta di mostro onnivoro aggressivo e prepotente che tende ad espandersi in modo inarrestabile sottraendo sempre più risorse e spazio vitale a chi propone qualcosa di diverso oppure si tratta di un’immagine distorta ed errata che falsa il quadro reale?

Ricollegandomi a quanto esposto nel paragrafo precedente propendo per la seconda ipotesi.

Penso invece che da parte del mondo indipendente e “autoriale” a stelle e strisce vi debba essere l’imperativo categorico di ripensarsi, recuperando quella verve, quella freschezza, quell’irrefrenabile spinta propulsiva che in passato l’avevano resa una delle scene fumettistiche maggiormente vivaci, prolifiche e vitali a livello mondiale e che da un po’ di tempo è andata via via scemando ed esaurendosi.

Perchè, come spiegavo più su, non è vero che non esista un pubblico colto e intellettualmente curioso.
Un pubblico colto, vivace, curioso, con voglia di sperimentare e assolutamente desideroso di leggere storie diverse rispetto a quelle appartenenti al genere supereroistico classico esiste.
Semplicemente non le vuole scritte così.

Chiudo con un inciso di carattere personale.

Degli anni ’90, da un punto di vista squisitamente fumettistico, si è soliti parlare assai male, liquidandoli come un periodo buio nel quale si è per lo più prodotto un concentrato di spazzatura.
Io invece vado controcorrente.
E non perchè sono un lettore figlio degli anni ’90 o perchè, essendo stato adolescente in quel periodo, sono emozionalmente legato a tutto ciò che me lo ricorda.
O non solo per questi motivi.
Prima si è parlato dell’omologazione dell’offerta come qualcosa di negativo.
Bene.
Negli anni ’90 c’era un fumetto mainstream che era veramente mainstream e una scena indipendente e underground estremamente florida e vitale, il tutto condito da vendite altissime.
La Marvel Comics vendeva a palate, la DC Comics vendeva a palate, la Image Comics vendeva a palate.
C’erano molte più persone che leggevano i fumetti e c’era un’offerta estremamente ricca quanto diversificata e variegata.
Se mi passa la metafora culinaria tanti piatti per tutti i gusti con un sacco di gente che voleva partecipare al banchetto.

Siamo proprio sicuri che l’era successiva, estremamente celebrata in molti lidi, abbia rappresentato un reale miglioramento della situazione?

 

IN CONCLUSIONE

Alla fine di questa lunga ed articolata disamina ritengo che abbiamo acquisito tutti gli elementi per poter tirare le fila della discussione e rispondere alla domanda che ha originato questo pezzo.

Supereroismo mainstream versus fumetto indipendente: lotta senza quartiere o contrapposizione priva di fondamento?

Io dico senza ombra di dubbio “contrapposizione priva di fondamento”.
Lo dico in primis perchè come abbiamo visto le attuali difficoltà della scena indipendente e, in senso più lato, d’autore, del mondo del fumetto a stelle e strisce dipende più da ragioni di natura interna che di natura esterna (ovvero non essendo, a mio avviso, diretta conseguenza della presenza di un ingombrante settore supereroistico mainstream) e in seconda battuta perchè è impossibile operare una divisione netta fra i lettori.

Io stesso ad esempio sono un estimatore dell’attuale corso di Spider-Man oltre che un lettore di varie serie supereroistiche targate Marvel e DC, ma al tempo stesso sono uno che leggeva l’Animal Man e la Doom Patrol di Grant Morrison all’età di tredici anni e che è passato per la lettura dei capolavori Vertigo della prima ora come V for VendettaSandman, divorando nel frattempo la produzione di Frank Miller targata Dark Horse fino ad arrivare alle attuali serie noir targate Icon Comics (come ad esempio Criminal di Ed Brubaker) o Vertigo Crime.

Ecco perchè, invece che propugnare una logica da muro contro muro fra le varie anime del fumetto americano, auspico un mercato florido per tutte esse, non ritenendo che la prosperità di una dipenda simmetricamente dall’azzeramento dell’altra.

E se per arrivare a questo occorre un sano processo di autocritica e un bagno di umiltà da parte di certi settori e di certi autori che devono tornare ad una dimensione meno autoreferenziale ritengo che la cosa vada fatta.
Per il bene del fumetto, del mercato e dei lettori.

Concludo infine, anche se può sembrare paradossale, invitando a prendere il tutto in modo meno serioso e più allegro e leggero.

Il già citato Hugo Pratt, nonostante fosse un artista di livello assoluto e a trecentosessanta gradi, famoso, rinomato, studiato e idolatrato in tutto il mondo, era solito definirsi “semplicemente un fumettaro”. E non certo per sminuire l’Arte verso la quale nutriva passione sconfinata, ma perchè ne aveva ben compreso il carattere peculiare che la rendeva diversa rispetto a tutto il resto.

Oppure potrei chiudere ricordando quello che diceva il grande Victor Hugo, ovvero che “la libertà comincia dall’ironia!”.

 

Invito tutti quelli che hanno letto questo lungo articolo ad entrare nel nostro forum e a visitare il topic:

Supereroi, Vertigo, quanto siamo nerd anzichenò: l’eterno scontro

…magari, in virtù della chiosa finale, con in sottofondo una colonna sonora di questo tipo:

httpv://www.youtube.com/watch?v=p-LUY8HI_XU&feature=fvsr