Testi: Jonathan Hickman
Disegni: Esad Ribic, aa vv
Edizione Italiana: Ultimate Comics 13-18 Ultimates 1-6, Marvel Italia
Edizione americana: Ultimates (2011) 1-12
Con il numero 6 dell’edizione italiana di Ultimates si conclude la gestione di Jonathan Hickman (Pax Romana, Fantastic Four) che viene «promosso» sulla riorganizzata testata degli Avengers dopo il rilancio Marvel Now.
Fin dal primo momento in cui Hickman prese il timone della testata, l’imperativo della Casa delle Idee, ribadito anche dal punto di vista pubblicitario e di certo condiviso dai lettori, fu quello di un ritorno alle origini, vale a dire recuperare le atmosfere realistiche e dalle implicazioni politiche che avevano caratterizzato le storie del gruppo di Mark Millar (Kick-Ass, Wanted, Civil War) nella prima e seconda stagione di Utlimates.
La run dello scozzese è difatti stata consegnata alla storia della nona arte, non solo per la rivisitazione totale dei personaggi che, rispetto alle loro controparti classiche, non si trascinano dietro il pesante bagaglio di anni di continuity, ma soprattutto, come già sopra accennato, per un tenore più attento ai risvolti politici e sociologici che l’impatto del fenomeno «superumano» avrebbe nel mondo se realmente si verificasse ai giorni nostri, dando al tutto un’ambientazione più realistica possibile.
L’intento che la Casa Editrice volle attuare con la creazione dell’universo Ultimate fu, inizialmente quello di riscrivere il background dei personaggi, regalando loro una ventata di freschezza e novità che non era possibile fare nell’universo classico – data la gelosia con cui la personalità di tutti i protagonisti è custodita – mantenendo soltanto quegli aspetti imprescindibili di ogni eroe e avversario che sono andati cristallizzandosi nel tempo.
L’approccio dapprima timido degli autori a cui fu affidato il lancio dell’Ultimate Universe (Bendis e Millar su tutti) che, oltre ad una rivisitazione delle origini e dei costumi, aveva mantenuto lo schema dei rapporti e la collocazione etica dei personaggi, fu presto abbandonato per dare spazio ad un’autentica rivoluzione copernicana (e l’aggettivo, come vedrete nella saga di Hickman, non è usato a caso).
Capovolgimenti assoluti furono adoperati soprattutto nella scala di valori dei personaggi: le personalità, non solo furono riviste, ma in molti casi furono riscritte in senso nettamente contrario rispetto alle controparti originali.
L’Universo Ultimate divenne ben presto terreno per le più audaci sperimentazioni, molte delle quali portate avanti con i consensi di critica e pubblico, dimostratisi sorprendentemente maturi per quelle riletture che, a volte, possono essere considerate veri e propri azzardi.
Sperimentazioni che sono state premiate influenzando le scelte della Casa Editrice per il destino dell’Universo Marvel tradizionale: dalle più semplici, come il colore della pelle del direttore dello S.H.I.E.L.D. Nick Fury – impersonato sul grande schermo nelle pellicole Marvel Studios e da ultimo in The Avengers dall’attore Samuel L. Jackson – ultimamente riproposto nell’Universo Classico dove lo storico agente segreto è stato sostituito dal figlio afroamericano; alle più articolate, come riscrivere il passato e il presente di Thor che – sull’onda del successo cinematografico la cui sceneggiatura è il risultato di una commistione tra le origini del personaggio Ultimate e di quello Classico – ha spinto la Marvel a rinunciare alla presenza del Dottor Donald Blake, modesto medico statunitense, ricettacolo del Dio del Tuono che invocava tramite il potere di un magico bastone.
In quest’ottica di ardita sperimentazione, gli autori di passaggio sugli albi Ultimate si sono sentiti incoraggiati a buttare giù le sceneggiature più bizzarre e spregiudicate, le quali non avrebbero mai potuto essere tali nel contesto timoroso delle testate Marvel storiche verso le quali lo spietato giudizio dei lettori più affezionati è spesso più croce che delizia.
Gli Ultimates sono stati, forse, quelli più colpiti dalla sperimentazione, sia nella composizione che nella gerarchia, completamente stravolte, rispetto alla controparte Classica dei Vendicatori.
Dopo la battuta di arresto (anche dal punto di vista dei consensi) rappresentata dalla gestione di Joeph Loeb (Smallville, Batman: Il lungo Halloween), improntato verso una regressione tradizionalista (tra i passi indietro più criticati ci fu senz’altro il ritorno del linguaggio arcaico e solenne di Thor, il cui tono più mondano aveva caratterizzato, invece, uno dei successi della versione di Millar), il gruppo è ritornato ad una struttura più realistica e complessa, ma allo stesso tempo credibile, gestita magistralmente dall’autore statunitense che dal punto di vista della fantasia e della disinvoltura risulta a tratti migliore rispetto al predecessore scozzese.
Nonostante Mark Millar resti superiore (anche nel cuore dei lettori) sotto molti altri aspetti e abbia avuto il merito di plasmare all’origine l’articolata rete di rapporti che caratterizza gli Ultimates, Hickman ha colpito per la sua capacità di gestire meglio del collega i rapporti esterni con le altre testate e quelli interni con le storie orizzontali da esso stesso sviluppate ovvero che si è trovato ad approfondire. Prima di esprimere un giudizio sui dodici capitoli che portano la firma dell’autore statunitense, appare doveroso fare quanto meno un quadro generale della situazione, prestando particolare attenzione a non disvelare al futuro lettore nessuno degli innumerevoli colpi di scena di cui l’intera storia è disseminata.
La Città
La Repubblica sta bruciando è il titolo con cui Jonathan Hickman inizia il primo capitolo della sua gestione di Ultimates e mai frase più densa di significato e potenza scenografica poteva essere utilizzata per descrivere l’intera storia.
La Germania Occidentale ospita, dapprima inconsapevolmente, un’enorme struttura che cresce ad un ritmo esponenziale, finendo per attirare l’attenzione delle potenze europee e internazionali.
Il motivo di questa espansione, a tratti distruttiva – poiché finisce con l’assorbire i paesi circostanti – è semplice quanto straordinario: dentro le mura de La Cupola (questo il nome del complesso architettonico) il tempo passa più in fretta che nel mondo esterno. Nel corso della storia si parla di un rapporto di circa 5 anni dentro la Cupola per ogni secondo trascorso nel mondo esterno (la vignetta dice esattamente che 0,19 secondi corrispondo a un anno fuori l’edificio).
A questi ritmi la società isolata dal resto del mondo che si sviluppa dentro la struttura raggiunge, ben presto, livelli di progresso sconosciuti alla società civile attuale.
Quando i Figli del Domani (nome del popolo sviluppatosi all’interno della Cupola) stabiliscono che l’evoluzione ha raggiunto un grado di maturazione sufficiente per il loro imporsi sul mondo esterno, la mura vengono abbattute e nasce così La Città.
La Città rappresenta il prodotto finale di un’evoluzione attenta e minuziosamente controllata in tutti i suoi aspetti – dai più insignificanti come il nome proprio della persone, a quelli più complessi come il numero delle nascite. La Città è perfetta come lo sarebbe l’idea Platoniana di città. Lo stampo originale da cui tutte le civiltà discendono e il modello a cui tutte aspirano.
La sua originalità, però, non è tutta qui: ogni cosa all’interno della Città è, se non decisa, indirizzata da un unico individuo: il Creatore.
Per i Figli del Domani il Creatore è un dio, eterno e infallibile e per di più presente fisicamente; risolutori di dubbi, guida della popolazione, con la quale interloquisce dando loro l’illusione di una partecipazione al governo della Città, che assume la veste plebiscitaria tipica di un totalitarismo.
Questa è solo uno delle crisi con cui gli Ultimates avranno a che fare, perché nell’intricata matassa delle storie orizzontali curate da Hickman, se ne inserisce un’altra altrettanto ricca di significato.
Il Popolo
Sulle pagine di un’altra testata Ultimate – ossia Ultimate Hawkeye – lo stesso Hickman crea Il Popolo: vera e propria aggregazione di superumani uniti sotto un’unica bandiera, ossia la città paradiso di Tian.
I cittadini di questa neonata città-Stato che sorge all’interno di quella che era laRepubblica del Sud Est Asiatico, ricevono il loro potere da La Fonte, mistica sorgente di abilità superumane, la quale ha avuto origine a sua volta da un progetto che il governo della RSEA voleva attuare per riservarsi il primato della produzione dei mutanti sul resto del mondo.
Il Piano (questo il nome del progetto) prevedeva che dopo l’invenzione di una cura per la rimozione del gene mutante (nell’Ultimate Universe i mutanti sono il frutto di sperimentazioni statunitensi finalizzate alla riproduzione del siero del super soldato che diede a Capitan America le sue immense capacità), la RSEA si assicurasse l’esclusiva sulla produzione di superumani proprio tramite La Fonte, ottenendo così il primato militare sul resto del mondo.
Questo progetto – per cui è evidente la passione di Hickman per le storie degli X-Men di Claremont a cui venne l’idea de la Cura – prevedeva atroci esperimenti e torture sull’inconsapevole popolazione civile che non tardò a mettere in atto una rivoluzione violenta guidata dai fratelli Kuan-Yin e Shen, ora rispettivamente Xorn e Zorn, divenuti leader delle fazioni dei Celestiali e degli Eterni che insieme formano Il Popolo di Tian.
Ma c’è una terza realtà che è sconvolta più di ogni altra dalla comparsa della Città e del Popolo.
Il Mondo
È così che tanto il Popolo quanto La Città chiamano il complesso di istituzioni e persone che compongono ciò che è altro rispetto a loro, ossia l’agglomerato indifferenziato del resto delle Nazioni del Pianeta Terra.
Per di più, come apprendiamo fin dalla lettura dei primi capitoli di Ultimates, Nick Fury ha già la sua dose di problemi e si deve dividere tra una crisi nucleare a Montevideo, in Uruguay; le difficoltà che la città di Asgard sta portando alla popolazione dell’Europa, sui cui cieli fluttua; e, ultima, ma non per importanza, la diserzione del simbolo americano del primato militare mondiale: Steve Rogers, alias Capitan America che, per le vicende narrate su Ultimate Spiderman e Ultimate Avengers ha deciso di rendersi irreperibile, ritirandosi a vita privata.
In questo scenario Hickman, denotando ancora una volta un’attenzione particolare per le trame orizzontali, assegna ad ogni Ultimates un problema personale che complicherà ulteriormente, influenzandola, la risoluzione della Crisi principale, rappresentata dalla Città che nella sua massima estensione va ora da Bruxelles a Berlino.
Su tutti spiccano senza dubbio le personalità degli Ultimates attualmente più rappresentativi, ossia Tony Stark, Thor e Nick Fury, oltre al malvagio antagonista: il Creatore che, dietro la sua fredda e meticolosa razionalità, cela ragioni più umane e terrene.
Hickman e Le Triadi
Fatto il quadro della situazione, vorremmo offrire al lettore una visione particolare, e forse unica, del lavoro di Hickman, ossia l’attenzione maniacale dell’autore per il movimento dialettico, che nella filosofia Hegeliana si articolano in Tesi, Antitesi e Sintesi. L’intera storia è strutturata secondo triadi, più o meno vistose.
Il Popolo è la perfetta antitesi della Città: Il primo nasce da una sollevazione popolare spontanea che viene dal basso; la seconda, al contrario, viene creata dall’idea di un unico individuo.
Il Popolo è una reazione al sistema, mentre La Città è un’imposizione ed entrambe sono l’archetipo di due sistemi politici e sociali, oltre che etici.
La sintesi è rappresentata dal Mondo, che cerca di ottenere il naturale equilibrio del sistema.
Lo stesso Popolo, a sua volta è organizzato secondo uno schema triangolare: Xorn e Zorn, rappresentano le due facce dell’animo umano: l’una attiva, tesa a controllare la propria natura, pacifica e razionale; l’altra passiva, ma improntata ad assecondare la propria natura rabbiosa e violenta. Celestiali ed Eterni si collocano all’interno di un delicato equilibrio rappresentato da Tian.
D’altronde, l’attenzione verso il movimento dialettico con cui, secondo Hegel è organizzata la realtà, era presente (se consapevolmente o meno non ha importanza, poiché secondo la migliore filosofia idealista è il pensiero stesso dell’uomo che si articola secondo questo schema) già nella seconda formazione dei Vendicatori Classici: il Dio (Thor); l’Uomo (Capitan America); e la Macchina (Iron Man).
L’attenzione di Hickman per la sociologia e la filosofia – come per Millar era stata la politica e la cultura moderna – non finisce qui perché, anche nelle vicende dedicate alla Città si intravede una critica – o meglio una riflessione, pur nella leggerezza del mediafumetto – al concetto di religione.
Il Creatore ha creato la Città e i sui Figli. Ne ha condizionato con le proprie parole e le proprie scelte l’evoluzione e la società; ha stabilito quali sono i comportamenti tollerati e quelli che non lo sono; ha deciso ciò che è giusto e ciò che non lo è, influenzando la visione del mondo della sua gente, la quale ritiene lecito il sacrificio della propria individualità a favore del benessere collettivo.
A prescindere dal contenuto dei precetti che il Creatore ha imposto ai suoi figli, lo schema è chiaro: Hickman ha riprodotto nella Città, estremizzandolo, lo schema culturale e sociale del nostro mondo, elaborando una sua personale visione del futuro che si concluderà, come si vedrà, con l’ennesimo scatto evolutivo dei Figli del Domani, rispettoso dello schema triadico che l’autore si è auto-imposto all’inizio.
Il finale stesso della saga sarà un gioco dialettico di tesi, antitesi e sintesi che affidiamo al lettore l’abilità di scovare – così come in quel momento sarà evidente la cognizione di causa con cui è stato utilizzato il termine «rivoluzione copernicana» per descrivere il capovolgimento di ruoli operato dallo scrittore.
In conclusione, Hickman appare sicuramente a suo agio nello sviluppare trame tentacolari e a lunga durata, dedicando ad ogni storia il giusto spazio, ma soprattutto la giusta attenzione.
Egli ci descrive nel corso di tutta la storia il disagio e la rabbia dei singoli protagonisti affidandosi, però, nel farlo, oltre che ai disegni dei suoi collaboratori, alla narrazione cruda e veloce dei fatti, il che denota un’eccezionale abilità scenografica particolarmente cinematografica, che si intravede nelle inquadrature degli ambienti e nella posizione occupata dai protagonisti nello spazio.
Il ritmo delle immagini, la distribuzione delle stesse, la dinamicità dei movimenti, le pose plastiche, rivelano un affiatamento tra Hickman e gli artisti che lo hanno accompagnato a turno sulla testata (Esad Ribic per la gran parte, poi anche Luke Ross, Butch Guice, Leonard Kirk, Patrick Zircher, Ron Garney e Brendon Peterson) tutti accomunati dallo stesso stile, marcatamente realistico, che sottolinea ulteriormente l’imposizione dell’autore anche sul comparto grafico.
Ultima nota di merito (o di demerito a seconda di come verrà giudicato il finale della saga) va anche a Sam Humphries che ha affiancato Hickman nella fase conclusiva della sua gestione – in una sorta di passaggio di testimone dello spillato – dato che il primo sostituirà il secondo nella narrazione delle innumerevoli vicende che circondano gli Ultimates, tutt’altro che arrivate alla parola fine con l’addio di Jonathan Hickman.
Il giudizio sull’intera saga è positivo, se non entusiastico. A prescindere dal finale – criticato nella comunità dei lettori – Hickman ha creato una saga, che pur non essendo complessivamente di pari livello a quella di Mark Millar e Bryan Hitch, ne è la degna e sperata continuazione, persino superiore, come detto all’inizio, in alcuni aspetti problematici che non si erano presentati alla coppia di artisti britannici – vale a dire la, pur corta, continuity e la gestione dei rapporti con le altre testate (per accennare uno degli episodi più banali, alla Donna Ragno viene inviato da Nick Fury il costume da consegnare al neonato Uomo Ragno, riferimento alla storia di Bendis sulle pagine di New Ultimate Spiderman).
Jonathan Hickman è stato all’altezza della aspettative secondo il nostro giudizio, ma rimandiamo al lettore il compito di valutare da sé la gestione dell’artista, sperando di avergli offerto un punto di vista particolare che, se non verrà seguito, lascerà comunque una storia inalterata nella sua bellezza e dinamicità, piacevole da affrontare anche con leggerezza, il che denota l’ulteriore capacità dell’autore di arrivare a tutti e divertire anche laddove sfugga quel qualcosa in più che nelle intenzioni voleva comunicare.