Testi: Brian M. Bendis
Disegni: Alex Maleev
Edizione USA: Moon Knight 1-12
Edizione ITA: Marvel Select 1-6, 5 €, Panini Comics
Marc Spector è un produttore di serie TV negli Stati Uniti e ultimamente ne ha prodotto una che va fortissimo: «La Leggenda di Khonshu». In questa, un ex mercenario viene quasi ucciso e abbandonato in mezzo al deserto nordafricano, ma con le ultime forze riesce comunque a raggiungere un antico tempio dove riceve i poteri da una antica divinità egizia, tale Khonshu, appunto.
Non c’è nulla da dire: la trama di questa serie TV è misera, ma semplice che sono gli ingredienti adatti per mettere su uno show scadente ma incredibilmente redditizio. Il segreto, infatti, nel panorama dello showbusiness americano è creare un prodotto con una base tanto semplice quanto avvincente che permetta di inserire nel corso degli episodi risvolti sempre nuovi, in grado di rialzare lo show e l’attenzione dei telespettatori quando questa è in fase di calo. Che «La Leggenda di Khonshu» abbia questi requisiti è indubbio. Già dall’episodio pilota possiamo notare almeno tre elementi che potranno essere approfonditi in qualsiasi momento della trama: Il protagonista (Lockley) ha un passato misterioso che sicuramente tornerà a tormentarlo in futuro; egli è anche un mercenario e non è ben chiaro il motivo per cui è stato quasi fatto fuori; infine un Dio egizio semisconosciuto decide di donargli poteri fuori dal normale che egli decide di usare per il bene dell’umanità. Ecco l’ultimo ingrediente: catapultare il nostro protagonista in uno scenario familiare, dove deve fare i conti con i problemi di tutti i giorni e una città sempre più marcia, Los Angeles.
Questi sono tutti elementi abusati fino alla nausea in una moltitudine di media: dalla letteratura, alla televisione, fino al cinema. E, parliamoci chiaro: non sono il massimo dell’originalità per un prodotto di fantasia. Ed è proprio questo che li rende mediocri: il fatto che siano elementi fantastici, e la fantasia umana ne ha toccati di argomenti, che oramai sta diventando difficile riuscire a stupirla.
Ma se tutto questo fosse reale invece? Se tutti questi accadimenti (il Dio Khonshu, i superpoteri, l’ex mercenario) fossero accaduti davvero a qualcuno, pensereste ancora che siano banali?
Queste sono le premesse di una delle serie più sofisticate e audaci del panorama fumettistico recente. Sofisticate e audaci nonostante ogni singolo ingrediente non sia sembri capace da solo di creare una trama avvincente e innovativa, ma amalgamato sapientemente con il resto può creare un prodotto unico.
Se poi al timone di questo sgangherato progetto ci sono due – Bendis e Maleev – che, negli ultimi dodici anni (da Sam&Twitch, dove si conobbero, passando per Spawn, l’ormai leggendario ciclo di Devil fino all’apprezzatissimo lavoro sulla Donna Ragno) sembrano non sbagliarne una, allora il successo (o quanto meno la certezza di un prodotto di qualità) è assicurato.
Ciò che colpisce di certo, nella serie di Moonknight – questo il nome del folle supereroe sotto cui si cela Marc Spector, produttore Hollywoodiano – è la sapienza con cui sono stati sistemati gli elementi di base per creare un’opera nuova. C’è il supereroe milionario – o forse dovremmo chiamarlo eroe, spogliandolo del prefisso, e ora capirete perché –; c’è una città corrotta; c’è il re del crimine; c’è un caso misterioso da risolvere; c’è la bella femme fatale; e c’è il fido aiutante. Se tutto ciò vi sa di un non so ché di familiare, non avete tutti i torti, ma qui subentra Bendis in tutta la sua bravura, già ampiamente dimostrata, ma che sembra sempre in vena di riconferme. L’autore di House of M (altro lavoro in cui riutilizza sapientemente elementi con cui si sono misurati altri autori in altri cicli – L’era di Apocalisse, Giorni di un futuro passato) ci dimostra come inserendo elementi apparentemente semplici e idee primitive si possa ottenere un opera di grande spessore e del tutto nuova: così la nostra città corrotta diventa Los Angeles, che stranamente nel panorama fumettistico – almeno della Casa delle Idee – nessuno sembra mai dare lo spazio che meriterebbe, presi come sono supereroi e autori dalla mistica attrazione della compagna più bella e famosa della East Coast, New York; il Kingping è il conte Luchino Nefaria, villain dalle origine italiane – quale orgoglio! – caduto nel dimenticatoio ma incredibilmente altezzoso e potente; la femme fatale è la vendicatrice per un giorno Echo, bellissima ragazza sudamericana, nonché sorda; l’aiutante è un ex agente S.H.I.E.L.D. tutt’altro che anonimo e impacciato, persino più in gamba del protagonista; tutto ciò inserito nell’accattivante quadro di una misteriosa spedizione rubata che contiene la testa di Ultron, potentissima intelligenza artificiale con un solo obiettivo: distruggere la razza umana! E, da ultimo, non può mancare l’elemento che rende il nostro protagonista particolare e allo stesso tempo più appetibile rispetto ai suoi noiosi colleghi della Costa Est: Marce Spector, alias Moonkinght, è totalmente pazzo! Avete capito bene: e non è una di quelle deviazioni mentali che già sarebbero insite in ogni supereroe e nella malsana idea di indossare una calzamaglia e andare in giro per i tetti; no: qui si parla di una vera malattia mentale che lo rende affetto da potentissime allucinazioni e da una difficoltà di valutare i pericoli. Emblematica di tutta la seria è l’ultima pagina del primo episodio, quando terribilmente veniamo a conoscenza che i tre compagnoni con cui il Cavaliere Lunare si confronta per tutte le pagine precedenti non sono nient’altro che nella sua testa rivelando un’altra insanità psichica: una sorta di «tripolarismo», che lo porta a dare retta a tre personalità distinte nella sua testa che per facilità egli personifica negli archetipi dei supereroi Marvel: il sempre ligio Capitan America; il bonaccione e spiritoso Spiederman; e il rude e violento Wolverine.
Per concludere – tralasciando volutamente le lodi al disegnatore di quest’opera in dodici numeri, Alex Maleev, che, nonostante un tratto decisamente più affrettato e meno ragionato rispetto sue opere precedenti (N. di Marc Guggenheim e Stephen King è l’esempio di quale perfezione può raggiungere un’artista senza le pressioni delle uscite del mercato fumettistico statunitense), rimane un artista formidabile (o quantomeno particolare e audace, voce fuori dal coro rispetto ai suoi più rassicuranti colleghi) – ciò che è opportuno sottolineare è la maestria con cui Bendis è riuscito a rilanciare per l’ennesima volta (Moonkinght aveva giù subito un rilancio ad opera di David Finch e Charlie Huston) Marc Spector cambiando un piccolo particolare che lo ha reso completamente nuovo: se i suoi sceneggiatori precedenti volevano lasciare al lettore la conclusione se l’eroe fosse pazzo o meno, Bendis fuga ogni dubbio: Marc Spector è matto come un cavallo, fuori come un balcone e probabilmente la storia del Dio Khonshu è avvenuta solo nella sua testa ma per lui è una giustificazione sufficiente per combattere il crimine, per di più senza alcun superpotere – ecco perché solo eroe – e in una mise di discutibile gusto e comodità.
Bendis è la prova di come si può ottenere qualcosa di straordinario e nuovo utilizzando elementi apparentemente modesti e aggiungendo quel pizzico di dettagli in più che rendono il prodotto unico, non per nulla inferiore a chi l’ha creato (Doug Moench e Don Perlin a metà degli anni settanta), che comunque mantiene la sua cospicua dose di meriti.