Hulk: Grigio

Mag 18, 2010

Testi: Jeph Loeb
Disegni: Tim Sale
Edizione Originale: Hulk: Gray, 160 pp, Marvel Comics, 2004
Edizione Italiana: Hulk: Grigio, 100% Marvel, B, col, 10 €, Panini Comics; Le Grandi Saghe n.37, 9.99 €, Panini Comics

Nel 1962 si riuscì a sintetizzare all’interno di un personaggio dei fumetti una varietà così complessa e articolata di riferimenti e comportamenti psicologici da poterne attribuire l’opera a un’equipe di sociologi professionisti. Artefice di questo capolavoro della cultura popolare che è HULK è stata invece la fervida immaginazione di Stan Lee e la sua straordinaria curiosità per l’oscuro universo dell’inconscio umano: fatto di intime paure, di innata violenza, di una rabbia recondita e ancestrale che improvvisamente e inaspettatamente esplode radendo al suolo tutte le nostre certezze.

I riferimenti culturali che questo “mostro” della Casa delle Idee prende a prestito dalla narrativa occidentale sono numerosi, basti pensare a Frankestein, frutto anch’egli di un esperimento sul quale si è perso il controllo, o al gobbo Quasimodo di Notre Dame de Paris, con tutto il suo carico di solitudine, misantropia ed emarginazione. L’Hulk delle origini, inoltre, aveva la pelle grigia e si trasformava soltanto di notte, come un novello Dr. Jekyll e Mr. Hyde.

Tutto questo e molto altro viene ripreso da Jeph Loeb e Tim Sale in quello che è il terzo capitolo dei loro volumi “coloured” (gli altri due sono stati “Spiderman: Blue” e “Devil: Yellow”), che riescono a dare una nuova interpretazione del mito delle origini di Hulk, attraverso il suggestivo espediente narrativo della seduta psichiatrica. Durante una notte di pioggia, Bruce Banner, tormentato dai ricordi e dalla solitudine, si reca in visita presso lo psichiatra dottor Samson, suo intimo amico, per parlare. Per capire. Ne nasce un racconto che ripercorre passo dopo passo le prime avventure del “mostro”, dall’incidente, all’incontro con Rick Jones, alle prime persecuzioni da parte del Generale “Thunderbolt” Ross, al rapporto distruttivo fra Banner-Betty-Hulk.

Attraverso dei dialoghi azzeccati e incalzanti, Loeb ci conduce lungo le vie del dubbio, in un viaggio d’indagine sulla mostruosità di Hulk e dei suoi comprimari, sull’instabilità e la natura ingovernabile dei desideri umani, dei loro istinti, e dei loro comportamenti più naturali.
C’è qualcosa di contorto, soffocante e disturbato nell’animo umano, qualcosa che ci porta a temere il mostro diverso da noi e l’abisso dentro di noi, ma che al tempo stesso ce lo fa amare e desiderare.
E’ il paradosso dell’uomo quello di essere una creatura squilibrata, che dice di cercare l’equilibrio ma che fondamentalmente gode e gioisce nell’assecondare la sua vera natura caotica.

Il dottor Banner è Hulk e Hulk sono io. Siete voi, tutte le volte che vi sentite colpevoli, tutte le volte che vi isolate nella depressione e nella rabbia detestando di sentire anche solo una mosca volare intorno a voi, siete voi ogni volta che il sangue vi sale alla testa, che goffamente tentate di dimostrare la vostra affezione a qualcosa nei modi sbagliati.
Essere Hulk non è una maledizione, è una punizione. O almeno è come tale che la percepisce Banner. La punizione per aver donato al mondo la bomba Gamma, per aver messo il suo genio al servizio della violenza e non dell’umanità.
Il senso di colpa, la contrizione emotiva di chi vive il suo dramma come una giusta espiazione per i suoi peccati, non fa che acuire la frammentarietà di una psiche già di per sé dilaniata. Perché Banner non è solo vittima di suo padre e della tragedia che ha distrutto la sua famiglia, non è solo la preda di un intero esercito scatenato contro di lui, è anche carnefice dei civili inermi contro la forza di Hulk, e di tutte le potenziali vittime di quella devastante arma di distruzione di massa da lui progettata. Nella spirale di violenza cui Hulk e il generale Ross danno vita, non c’è distinzione fra i ruoli. Non ci sono buoni e cattivi, non c’è bianco e nero. Hulk non è innocente, né colpevole. Hulk è grigio.
L’uccisore e l’ucciso convivono all’interno di una mente dissociata, e tutta la vicenda di Hulk non può che riassumersi in questo: la ricerca dell’equilibrio. O forse soltanto la fine di tutto.

Ma non è solo questo. Loeb sceglie di scendere a un livello più intimo, più personale, egoistico. Hulk non è un ampliamento di Banner, un miglioramento, un’estensione dello scienziato, ma una sua sottrazione. Hulk priva Banner del suo mondo, e priva di Banner coloro che lo amano. Tenta di sostituirsi a Banner, ma non può concepire il dolore della perdita. Non può concepire il dolore di Betty. Hulk è il più forte che c’è, e questo concetto assoluto, totalizzante, non ammette repliche, non ammette patti, discussioni. Hulk protegge Betty. Hulk ama Betty. E questo è quanto.
Questo concentrato di forza, ingenuità, infantilismo, dolcezza e brutalità, morbosità ed egoismo, non è qualcosa di mostruoso. Di alieno, di diverso. No. Questi sono i tratti distintivi dell’essere umano. Ciò che scatena l’odio e l’amore dei nostri simili. E, al tempo stesso, ciò che ci tormenta, costantemente.
Il grigio, l’ibrido, il dubbio, la contraddizione, sono la fonte del dolore dell’essere umano. E di Hulk, che dell’essere umano è un’esasperata moltiplicazione.

E così, nei magistrali dipinti di un Sale che ritrae il mostro in tutta la sua goffaggine, energia, irruenza e tenerezza, non possiamo che riflettere noi stessi. Come in uno specchio rotto.

Tormentati dal dubbio che, persino coloro che ci hanno amato di più, non ci abbiano mai capito.

A cura di Marco Cecini