Testi: John Ney Rieber
Disegni: Peter Gross, Peter Snejbjerg, Teddy Kristiansen, Dean Ormston
Edizione originale: Mythos 1-3, Prestige format, 1996
Edizione italiana: inedito
Ennesima bella miniserie Vertigo di John Ney Rieber, sulla vita di un musicista che rischia d’essere il nuovo Kurt Cobain. Suo malgrado.
Fra colori delicati e pennellate d’America rurale, la storia segue la vita di un giovane che sta sfondando nel rock “alternativo”, da alcuni giornalisti paragonato a Kurt Cobain (lui stesso cita un paio di canzoni dei Nirvana, nel corso della storia). In realtà in comune con il musicista scomparso ha solo il tipo di canzoni composte e certe esperienze di vita, poi il personaggio è psicologicamente meno borderline, per quanto la vita gli abbia fornito più d’una scusa per essere schizzoide (un padre che, tutti i week-end, a lui e alle sue sorelle faceva scavare e poi ricoprire la fossa funebre. E pure il nonno tedesco ex nazista, morto, ma che solo lui può vedere, non deve essere un toccasana per la crescita di un bambino).
La storia inizia quando il signor Pain compra i diritti della band del protagonista, strappandoli ad un editore discografico che la sua “rivoluzione musicale” la vende per una valigia piena di soldi (venderà così pure la propria famiglia, ma questa è un’altra sotto-trama); inizia così per il ragazzo un tour musicale, un viaggio negli USA durante il quale incontrerà un benzinaio a due facce, un cadavere ambulante fatto di legnetti intrecciati, la Black Orchid di Neil Gaiman e persino il buon vecchio John Constantine, che non può mancare mai quando la fine del mondo sembra avvicinarsi.
Caduto in mezzo ad un complotto ordito da personaggi usciti dalla mitologia norrena, nipponica, greca e azteca, il ragazzo dovrà decidere se andare avanti o arrendersi ed essere “una persona troppo strana, malinconica e senza più entusiasmi”.
I disegni sono splendidi, ci sono alcuni dei migliori disegnatori Vertigo dell’epoca, in grado di passare dai tratti morbidi e malinconici (Peter Gross e Peter Peter Snejbjerg nei primi due capitoli), a quelli più duri e grotteschi del capitolo conclusivo, grazie agli oggi dimenticati Teddy Kristiansen e Dean Ormston. Anche se il vero dimenticato è lo sceneggiatore, quel John Ney Rieber che aveva forse il “torto” di scrivere per la Vertigo mentre accanto lui lavoravano Neil Gaiman (Sandman), Garth Ennis (Preacher), Grant Morrison (Invisibles), Peter Milligan (Shade), Warren Ellis (Transmetropolitan). Schiacciato dai titani della sua generazione, abbiamo finito per trascurarlo tutti, tutti, me compreso, che ho recuperato il suo bellissimo Books of Magic solo un anno fa. E’ americano e gioca in terra straniera, quel campo solitamente battuto dai suoi cugini di Albione, ovvero la Vertigo magica e fantastica, sospesa tra fiabe e orrore; è americano e riesce a non fartelo pesare. Non è poco.