Testi: Bill Willingham, Matthew Sturges
Disegni: Tony Akins, Steve Leialoha, Andrew Pepoy
Edizione Originale: Jack of Fables – Jack of Hearts TPB
Edizione Italiana: Planeta DeAgostini, € 11,95

Pensandoci poi, perché una tale inezia di storia richiede due scrittori? Uno è già troppo, per come la penso io.” (cit.).
Interrompendo nel bel mezzo della narrazione di Jack Frost, prima parte di questo nuovo capitolo della saga di Jack of Fables, il perfido Mr. Revise, la mente celata dietro al progetto Casa Protetta Rami D’Oro, si rivolge direttamente al lettore, esprimendo il proprio disappunto nel vedere tanto del nostro tempo sprecato per correre dietro a storie a suo dire “false ed assurde”, delle “strampalate fesserie” figlie dei vaneggiamenti di due scrittori dal talento, a suo dire, alquanto discutibile.
Mr. Revise è un personaggio dei fumetti che di fumetti parla, non trattenendosi nel criticare fortemente il proprio creatore. Un caso di metafumetto bello e buono.
Jack of Fables, prima che spin-off, è innanzitutto un parco di divertimenti, un farsesco teatro nel quale i due scrittori della serie, “papà” Bill Willingham e “zio” Matthew Sturges si divertono a mettere in scena buffonate d’ogni sorta, prendendosi delle libertà altrove impensabili.
Jack of Fables è un piccolo laboratorio dove i “mad scientists” trascorrono le loro nottate a sperimentare quanto di più folle ed inusuale possa esserci a questo mondo.
L’intrusione non richiesta di Mr. Revise e, prima ancora, di una delle sorelle Page all’interno di Jack Frost ne sono un chiaro segno.
Non ci sono limiti o trovate impossibili nello scrivere Jack of  Fables, e tale frizzante modo di concepire il fumetto si concretizza pienamente nella figura del nostro incorreggibile protagonista, per sua stessa natura poco incline a seguire regole e consuetudini.
Non è, del resto, la prima volta che il nostro Jack ci dà l’impressione di sapere molto più di ciò che ad un fumetto sarebbe concesso sapere. Più e più volte, infatti, complice qualche particolare vignetta, è andato ben oltre al ruolo di narratore e protagonista della storia, dando prova, con occhiatine compiacenti lanciate ai lettori, di “conoscere la verità”. Egli è a conoscenza di essere un personaggio delle fiabe, e, allo stesso tempo, sembrerebbe anche sapere di muoversi all’interno di un fumetto, in un cliché narrativo ormai ampiamente presente in una certa molteplicità di personaggi sparsi qua e là (alcuni esempi su tutti: il Joker della DC o il Deadpool della Marvel).
E così, lontano dalla serie principale, il duo di scrittori può sbizzarrirsi nello stile e nella forma, lasciando ai soli disegni (qui affidati ad un terzetto composto da Tony Akins, Steve Leialoha e Andrew Pepoy) il compito di risultare quanto più “tradizionali” possibile.
La prima storia, breve, del volume, Jack Frost, consiste in una vera e propria fiaba nella fiaba. Impegnato a sfuggire alle ronde dei furgoni della Rami D’Oro, nascosto tra la neve, Jack racconta ai compagni di sventura una nuova parentesi del suo passato, in quel tentativo portato avanti dai due scrittori di dare una parvenza di ordine ed uniformità alle svariate tradizioni che ruotano intorno al personaggio, più che protagonista di qualche fiaba, vera maschera archetipa. Jack è il trickster della favolistica, l’incarnazione dell’essere burlone ed anticonvenzionale, ed in tali vesti è stato quindi più e più volte utilizzato in diversi contesti.
Terminato il racconto, la narrazione si sposta a Las Vegas, ove il nostro protagonista, riuscito a prendere al laccio una giovane e bella ereditiera, riesce ad entrare nuovamente in possesso di quelle ricchezze perse alla fine de La Grande (Quasi) Fuga.
Tra casinò, omicidi, complotti e cervelli mangiati, si dipana così una trama che vede un nuovo villan affiancare Mr. Revise nella creazione di una personale rogue gallery per il nostro amato antieroe.
Mischiando iconografia moderna a mitologia antica, Willingham e Sturges danno così vita a Lady Luck, regina della fortuna e perfetta rappresentante di quel mondo sfavillante e illusorio qual è quello in cui la nostra vicenda si recita.
Rimasto precocemente vedovo, nuovamente spogliato dei suoi averi e, alla fine, addirittura braccato dalla polizia terrena per presunto omicidio, Jack si vede ancora una volta costretto a lasciarsi il presente alle spalle, evidenziando come sotto quella patina di strafottenza e misantropia che pare caratterizzarlo si nasconde un’anima triste e stanca (Cit. “Ho perso la mia ragazza, il mio casinò, la mia macchina… E tutto ciò che mi resta sono una valigetta sporca e un tizio tracagnotto e quasi calvo che parla ai parchimetri. Essere me fa schifo”).
Il tutto è narrato con il solito cipiglio sarcastico, comico, irriverente ed un tantino maschilista tipico della serie. Uno spin-off che continua a fare dono di ciò che fin dall’inizio ha promesso: divertimento, divertimento e divertimento.
In fondo, come la copertina del TP informa, leggere Jack of Fables conviene anche: La fortuna arride a quelli che adorano Jack of Fables.

Who’s Who
(ovvero un breve identikit delle fiabe qui, per la prima volta, apparse)

John Henry
John Henry was a railroad man,
He worked from six ‘till five,
“Raise ‘em up bullies and let them drop down,
I’ll beat you to the bottom or die.”

Così inizia una delle più vecchie ballate dedicate a John Henry, un eroe del folklore americano da Willingham e Sturges fatto evadere dalla Casa Protetta Rami D’Oro, ed ora latitante insieme ad altre fiabe in fuga. Simbolo di classe ed icona popolare di un presente costruito con sudore e sofferenza, questo instancabile operaio, martello sempre alla mano, nasce in un periodo, intorno alla metà del XX secolo, nel quale i giovani Stati Uniti d’America vollero dare una forte spinta alla costruzione di un efficiente e moderno sistema ferroviario, indispensabile mezzo per garantire una lesta comunicazione tra i vari Stati facenti parte della confederazione americana.
Per la costruzione di una tale imponente rete ferroviaria furono impiegati un gran numero di manovali, perlopiù neri, i quali, molto spesso in condizioni lavorative certo non delle migliori, dovettero subire la minaccia dell’avanzare del progresso tecnologico, con le prime macchine in grado di sostituire il braccio umano.
La figura di John Henry, nel suo denunciare comunque la vacuità del resistere allo sviluppo della scienza, si sviluppa proprio come denuncia sociale di un lavoratore mal pagato, costretto a lavorare in precarie condizioni e non più indispensabile.
Non si sa bene se un “John Henry” sia esistito davvero, né quale sia stato il luogo esatto nel quale la famosa gara si sia tenuta, ma la leggenda narra di un possente uomo di colore (alto circa sei metri e dal peso di duecento libbre) che ha osato sfidare, da solo e per salvare il lavoro dei propri compagni, una scavatrice a vapore. Henry vince, ma le canzoni si tingono subito di nero nel comunicarci la sua morte. Stremato dalla fatica, seppur vittorioso, collassa a terra a gara conclusa.

Pecos Bill
Guido Martina, scrittore nostrano, diede vita nell’ormai lontano 1949 al personaggio di Pecos Bill, un coraggioso cowboy allevato in una famiglia di coyote che, per una manciata di anni, allietò, prima ancora di Tex, un pubblico affamato di vecchio western.
In realtà, Martina non ha poi inventato molto. Seppure epurato degli elementi più fantastici, surreali ed iperboleschi, il suo Pecos Bill non è altro che una fedele trasposizione di quell’omonimo Pecos Bill americano, leggendaria figura del folclore western, che godeva peraltro già in patria di una striscia a fumetti.
Creato intorno al 1916 dallo scrittore Edward O’Reilly per alcuni racconti, e spacciato dall’autore stesso come figura già esistente nelle tradizioni orali dei pionieri, Pecos Bill è il protagonista di avventure al limite del farsesco, capace di cavalcare tornadi come fossero cavalli o utilizzare dei lazi formati da velenosi serpenti a sonagli. Un’immagine ben lontana da quella di altre eroiche leggendarie figure del west.
Tra gli evasi de La Grande (Quasi) Fuga, il bizzarro cowboy appare adesso come membro di uno sparuto terzetto (insieme a John Henry e Alice nel Paese delle Meraviglie) che cerca di tenersi il più lontano possibile dai furgoncini di recupero di Mr. Revise.

Lady Fortuna
Il soggiorno di Jack a Las Vegas ed i suoi tentativi di recuperare quella fortuna persa in seguito alla precedente avventura cozzano qui con l’arrivo sulle scene di un nuovo villain, pronto a sostituire Mr. Revise il tempo necessario per raffreddare gli animi in attesa di un nuovo scontro con la Casa Protetta Rami D’Oro.
La base dalla quale si è partiti per la costruzione del personaggio di Lady Fortuna sembrerebbe essere la mitologica figura di Tyche o Fortuna, la dea classica della buona sorte, da Willingham e Sturges opportunamente ampliata e riscritta.
Nonostante sia figura alquanto conosciuta ed ampiamente nominata, allegoricamente utilizzata lungo i secoli, la Fortuna non ha però dalla sua (eccezion fatta per alcuni tralci di episodi mitologici) un corpus di storie o leggende nel quale presentarsi. Ciò ha quindi permesso ai due scrittori di sfruttare la “mancanza” a proprio vantaggio, fornendo una personale interpretazione che potesse rispondere a quanto da loro programmato.
Tradizionalmente divinità benevola, in Jack of Hearts Lady Luck si trasforma invece in un essere vendicativo e sanguinario (in un evidente richiamo alla Regina di Cuori di Lewis Carroll), famelico di cervelli umani dove, secondo gli antichi, sembrerebbe risiede la fortuna.
Descritta come nuovo capo della malavita locale e quasi del tutto invincibile (grazie alla fortuna che costantemente la protegge), Lady Luck si rifà essenzialmente ad un’iconografia moderna: quella regina  che troneggia sulle carte da gioco o sulle insegne dei casinò.