Per il Domani

Giu 25, 2010

Testi: Brian Azzarello
Disegni: Jim Lee
Edizione originale: Superman: For Tomorrow, edito su Superman#204 (Jun. 2004) – #215 (May 2005)
Edizione italiana: DC Universe 13-24 Play Press; Cartonato 18,5×28, 322 pp, col., 25,00 €, Planeta De Agostini

Essere chi sono io non è facile.

Comincia con queste parole la rivisitazione dell’Uomo del Domani da parte dello sceneggiatore Brian Azzarello. Sin dalle prime battute la storia si configura per l’abilità straordinaria di questo autore, che oltre a regalarci dialoghi e riflessioni attente e ricche di un pathos non privo di abbellimenti retorici, si dimostra assolutamente geniale nel sovrapporre i piani della narrazione, caricando la storia di frasi “a doppia locuzione” (se così vogliamo chiamarle), in funzione delle quali in uno stesso assunto possiamo ritrovare a un tempo le parole di Superman e quelle del suo principale interlocutore, soprattutto morale, in questa storia: padre Daniel Leone.

La sceneggiatura, molto curata, prevede che frasi di Padre Leone siano interposte a immagini di Superman, a sugello di questa sovrapposizione spirituale.
L’ironia beffarda del destino vuole che questi due personaggi, entrambi, seppur per ragioni diverse, latori di un messaggio di speranza e fede, vivano nello stesso momento la disperazione della perdita. Perché come è vero che fede, speranza, futuro, sono astrazioni endemiche dell’animo umano, è altrettanto innegabile che la morte può sradicare da quella stessa anima concetti come questi che, in ultima analisi, sono indissolubilmente legati alla vita e al suo dinamico divenire.
E così come un cancro, o la perdita di una moglie, possono privare la vita di un uomo dei suoi “significati”, altrettanto facilmente possono precipitarlo in un vuoto egoista e distruttivo, cui le matite dell’ineguagliabile Jim Lee, accompagnate dalle ottime chine di Scott Williams, contribuiscono a dare risalto e spessore.

Che sia proprio la determinazione di Superman a salvare il mondo a rendere quest’ultimo accidioso e perennemente in pericolo? L’umanità tende ad abusare delle proprie risorse e Superman comincia a chiedersi se egli non sia un freno allo sviluppo della forza e della capacità degli uomini, più che un sussidio ad esse.
Questa è una storia sull’indissolubile legame tra la fede e la paura. Si crede perché si ha bisogno di farlo, perché ci si vuole affidare a qualcosa. Ma laddove la paura diventa certezza, laddove la speranza diventa rassegnazione, è gioco forza che anche la fede si tramuti in egoismo.
Per un dio fra gli uomini quale è Kal-El sulla Terra, cosa può esserci di pauroso? Cosa potrebbe temere egli in modo similare a come gli umani temono la morte? La vanificazione degli ideali cui si è sempre ispirato e in cui ha sempre creduto. Si rende conto che, a ben guardare, la filantropia non può essere scevra di un certa intimo senso di superiorità. Chi dedica la propria vita al bene dell’umanità, dentro di sé crede forse di essere il soggetto più umano fra tutti.
Per chi crede nel bene, nella giustizia, nella moralità dell’essere umano, trovarsi di fronte al male assoluto è una sconfitta. Perché se è possibile distinguere con chiarezza la malvagità, viceversa il bene e la giustizia restano chimere alla deriva nel mare della fede e della speranza, soggette a relativismo di valori e prospettive.

Finalmente vedo il vero Kal-El.

Zod con queste parole sembra alludere a un concetto molto semplice: la “democrazia” di Superman è fondamentalmente valida soltanto fino a che le sue scelte sono condivise dagli altri. Ma nel momento in cui si mettono in dubbio le sue decisioni, in un confronto da pari a pari, il dispotismo, sicuramente illuminato, intrinseco al suo carattere, viene fuori. È come se la sua lotta per la giustizia, il suo perenne fare del bene, la sua ricerca del buono in tutto e in tutti, lo legittimassero intimamente a ritenersi migliore di chiunque, depositario, in ogni contesto, della giusta via.

Vuoi forse paragonarmi a loro?

Un senso di superiorità vigliacco, certo, che tuttavia Batman sembra apprezzare. La natura che Superman tira fuori in questo momento di pressione, quella natura che egli si è sempre sforzato di tenere a freno dietro la maschera del “boyscout”, è la stessa che invece da tempo Bruce vanta e accetta. I due si dimostrano intimamente simili, splendidi nella loro “inumanità”. Pipistrello e alieno, bestia e dio. L’uno metafora di sé stesso, l’altro poeta di false morali.
La critica di Azzarello alla società americana è velata, ma neanche troppo. Un moralismo quasi bigotto, tendente all’autoritarismo e alla presunzione d’infallibilità, sono, fondamentalmente, caratteri speculari di quella società americana al cui grembo Superman, campione dell’American Way, si è nutrito. Di fronte alla richiesta d’esilio di un intero mondo, nella forma dei sui Quattro Elementi Primordiali, Superman rifiuta, minacciando di distruggere il pianeta stesso. Certo, c’era in gioco la vita dell’umanità, ma in questo non si ritrova forse la mentalità di una nazione che antepone se stessa al destino del terra che abita?
D’innanzi a un dio l’umanità avrà sempre paura. Nella giustizia come nell’ingiustizia, egli sarà sempre colpevole per il suo potere. Anche il solo cercare di fare la cosa giusta, l’avere il potere di farlo, pone Superman al di sopra di tutti gli altri esseri viventi. E questa, seppure indiretta, nondimeno è una colpa. Nel riplasmare la Zona Fantasma in un mondo perfetto e ideale dove l’umanità potesse vivere felice e appagata, Kal-El si erge a demiurgo del destino umano, e a padrone del suo libero arbitrio.
Cercare di evitare quello che considera l’errore di suo padre, il non avere, cioè, tempo sufficiente per salvare il suo mondo, lo spinge a trasformare quello che era un inferno d’aridità in un paradiso. Ma il suo è un errore di valutazione: non fu Jor-El a fallire nel salvare Krypton, fu Krypton che non volle essere salvata. Kal-El ha creduto di poter offrire un mondo perfetto agli uomini: ma si tratta della sua perfezione, del suo ideale di bene. Il sommo bene degli uomini non è la pace, non è l’armonia. È la libertà.
Se un giorno un dio li privasse della libertà per poter garantire loro la felicità, essi si ergerebbero contro di lui stringendo un patto con il demonio. Il problema è che, come in tutti gli Inferni, anche nella Zona Fantasma regna un demonio. E, al pari di altri Inferni, anche questo trova nel suo principale demonio una figura di spessore epico inarrivabile, di orgoglio smisurato, di grande senso dell’onore e del valore. Zod si pone a capo delle schiere umane in rivolta, rivendicando la sua prigione, la sua dannazione e il suo Regno.

Meglio regnare all’Inferno che servire in Cielo.

“Paradise Lost” – John Milton

La sua è una vitalità indefessa che lo porta a preferire una perpetua inarrestabile deriva all’aiuto dell’Uomo d’Acciaio. Così fu il Farinata di Dante, così fu il Satana di Milton.
Ma il riscatto di Superman non tarderà ad arrivare. Tutto ciò che egli rappresenta nasce dalla fine di un mondo, dall’estinzione di un popolo. La sua stessa esistenza dovrebbe stare a significare che il lieto fine non esiste. Nondimeno egli riesce a dimostrare che la sua fede nell’uomo e nei suoi propri valori è inestinguibile. E allora perché fa quel che fa? Perché può. Perché deve. Perché vuole. Senza troppe domande, senza esitazioni. Kal-El rinsalda il suo legame d’amore per l’umanità, riscoprendo l’infinita forza del suo sentimento per Lois: la sua luce, la sua religione, il suo mondo. Per l’amore che egli le porta, tutta l’umanità diviene degna d’amore ai suoi occhi. Perché è grazie a lei, se riesce a sentirsi un uomo.

La nuova Fortezza della Solitudine, simbolo di un rinsaldato legame fra la Terra e il suo Campione, non è immersa in uno sterile e isolato gelo, ma nel verde vitale e fecondo di una foresta sudamericana. Non in un’aliena struttura a cristalli, ma in un’antica piramide precolombiana. Immensa e splendida, in una nuova armoniosa simbiosi con l’umanità, con il suo cuore e con la creatività del suo genio.

A cura di Marco Cecini

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