The Killing Joke

Ago 28, 2009

The Killing Joke

Autore: Alan Moore
Disegni: Brian Bolland
Albi originali: The Killing Joke (one shot, 1988)
Edizione Italiana: Corto Maltese #76 (1990), Volume unico Play Press (1997), “I Classici del Fumetto di Repubblica #24: Batman” (2003), volume cartonato Planeta DeAgostini (2009); Volume Cartonato DC Universe di Alan Moore Ed.RW-Lion (2012); Cartonato Absolute Ed.RW-Lion (2013); Cartonato Deluxe Ed.RW-Lion (2015);

Sin dalle primissime battute si comprende come Batman e Joker siano uguali agli occhi dello spettatore esterno, due pazzi al manicomio di Arkham. Non si conoscono, altrimenti non potrebbero non essere consapevoli di questa loro somiglianza, eppure si odiano. La nemesi che fra i due si costituisce prende corpo attorno a una specularità di cui entrambi sembrano intimamente consapevoli, e che pure rifiutano.
Nel 1988, basandosi su questo presupposto iniziale, il munifico viaggio di Alan Moore nel mondo dei supereroi si sposa alle matite di Brian Bolland, artista ordinato, morbido, capace di regalare tavole di gran pregio, appetibili anche per i gusti più schizzinosi.

La fuga del Joker consuma immediatamente l’ennesimo dramma. Joker ha qualcosa da dimostrare, stando a quanto proclama la sua stessa follia. La pallottola della sua pistola frattura le vertebre di Barbara Gordon come un gessetto guidato da mano sicura può dimostrare un teorema alla lavagna.
La violenza del Joker assume qui i connotati più letterali del termine: violazione della casa dei Gordon, violazione di quel codice non scritto che impone di uccidere l’avversario piuttosto che renderlo handicappato a vita, violazione della dignità di Barbara, ritratta nella sua nudità martoriata…

Joker vuole violare la vita, come la vita ha violato lui e la sua famiglia.

Quale potrebbe essere la motivazione di tanta furia? Per anni ci siamo accontentati di vedere nel Joker il ritratto della follia, senza mai soffermarci a scrutare le possibili ragioni della stessa.
Moore si fa carico di questa mancanza, proponendosi di analizzare, attraverso un lungo flashback, la vita dell’uomo dietro la maschera del Pagliaccio, anzi, l’uomo esistito prima di quella Maschera.
Ci troviamo così di fronte a un uomo che ci disarma con la sua normalità. Marito innamorato e devoto, padre attento, lavoratore disperato.
Abituati a un mostro di innata malvagità, ci risulta difficile odiarlo, dopo averlo visto così.

Le persone, la famiglia, l’amore, il calore umano… Tutto questo ci fa quasi credere, per un solo istante, che la vita abbia uno scopo, un senso. Ma, crudele ed efferata, la perdita ci riporta agli occhi la verità per come ci siamo sempre rifiutati di vederla: insensata. La morte squarcia il velo di Maya, permettendoci di vedere per la prima volta. Ma quanti sono coloro che non reggono a quella vista? Quanti perdono la ragione? La verità spesso si accompagna alla follia. E la vita altrettanto spesso non ha pietà, neanche della morte. Un gesto criminale votato a nobili ideali, un gesto d’amore, diviene una coazione a usura. Il crimine deve riscuotere il suo debito dalla coscienza e l’ironia della sorte va a privare un mezzo iniquo del proprio fine. Ecco qui, sunta in tre righe, la parabola di come un disperato diventa un criminale.

La vita è fatta di ingiustizie casuali. Batman e Joker sono accomunati da questa casualità: dalla perdita, dal dramma, e dalla beffa del destino.
Nell’intento del Pagliaccio riscontriamo un desiderio di equità teso a dimostrare che la sfortuna, per sua mano, può colpire chiunque… Chiunque, come ha colpito lui.
Ora che la follia è divenuta per lui “l’uscita d’emergenza” per una ragione troppo angosciante, egli potrà mutarsi di riflesso in un destino che infligge alla sua vittima prescelta delle ingiustizie casuali.

Tracciando quello che potrebbe essere un manifesto teorico delle ideologie del Joker, Moore offre una panoramica di stupefacente profondità sulla condizione esistenziale dell’uomo.
La nostra presunta centralità di uomini nell’universo, scelti da Dio per un destino glorioso, dinanzi a una tragedia del caso si ridimensiona a uno smisurato e inaccettabile atto d’orgoglio.
Agli occhi di una mente consapevole l’idea di una coscienza sociale, quando nessuno si verrebbe mai a preoccupare delle tue sventure, è un’idiozia. Grande forse soltanto quanto il mito della speranza, ennesima fandonia.

Accomunati dalla morte, dal rifiuto della realtà e dalla scelta di una salvezza che li condanna, Batman e Joker sono l’uno la negazione dell’altro. In termini di essenza, di modo di vivere il mondo e di percepire l’esistenza. Tanto l’uno crede che il mondo sia un caotico e irrazionale inferno, quanto l’altro continua a lottare per redimere la società, per dare speranza, per offrirsi uno scopo. Il Joker è il pagliaccio del mondo, il giullare quasi “medievale” che ride della propria società, che la ridicolizza e ne porta alla ribalta l’insensatezza dei valori.
Batman percepisce dentro di sé la correttezza delle motivazioni del suo nemico, lo sente e lo ha provato sulla sua pelle. Ma se non vuole impazzire davvero, l’unica sua via di uscita è forzare se stesso a credere in valori che forse egli per primo considera “favole”: onore, dignità, rispetto, ideale, speranza, giustizia, dovere. È sempre meglio credere che esistano le favole che non credere a nulla… Meglio credere a ciò che non esiste, se l’alternativa è lasciare che un vuoto caos si impossessi di noi.
Forse ciò che frena Batman dal fare una scelta del genere è il suo sentimento di “debito” nei confronti dei genitori. Con una scelta egoistica quale quella della rinuncia a ogni ideale, Bruce verrebbe meno alla promessa che da bambino, forse ancora inconsapevole della vita, fece sulla tomba dei propri genitori. E in virtù di quella infantile promessa, per tutta la vita Batman continuerà a credere che esistano le favole; da bambino che si rifiuta di crescere.
Joker è al contrario l’adulto: la sua scelta, la sua logica, sono mature.

Eppure è il bambino a offrire all’adulto una possibilità: compiere la stessa scelta fatta da lui, scommettere su una “favola” che forse non esiste. Ma Joker risponde a modo suo, con una risata ed una barzelletta. Batman gli offre una via, ma cosa lo assicura che la strada da lui proposta sia davvero percorribile? Forse non è più percorribile di un fascio di luce nella notte. E soprattutto, cosa assicura Joker che Batman un giorno o l’altro non ritirerebbe egoisticamente la via che adesso si offre di condividere? Joker lo farebbe, perché è folle, perché si conosce, perché sa che lui solo è il Joker, e nessun altro. E Batman sa in cuor suo che anche per lui vale lo stesso principio; ecco perché, pur nella delusione, non può fare a meno di ridere. Il sole non può essere luna, la luna non può essere sole. Ma entrambi sono astri, creati dal caos e destinati a tornare al caos.

La risposta ci viene data nell’ultima pagina della storia… Perché Batman dovrebbe essere diverso da Joker? Perché dovrebbe scegliere di condividere una strada di potere ammantato di fievoli ideali con qualcun altro? In fondo, Batman e Joker non sono che due facce di una stessa medaglia… Anzi, di una stessa carta.

A cura di Marco Cecini