THE DARK KNIGHT RISES – ATTENZIONE SPOILER

Dopo aver affrontato la solitudine di un esistenzialismo senza meta e senza scopo, dopo aver fronteggiato i demoni di un ideale di giustizia talmente sfrenato da spingere verso la vendetta, dopo aver sconfitto l’irresistibilità del nichilismo con l’inamovibilità del simbolo, quale può essere la sfida definitiva, lo scontro ultimo, la nemesi del Cavaliere Oscuro?
Nell’ultimo capitolo della sua trilogia, Nolan riflette innanzitutto sulla società di Gotham, specchio del nostro mondo, fotografia di una realtà che ci appartiene e ci abbraccia al di là del grande schermo.
Una società dagli inaccettabili squilibri economici, alimentata da spregiudicati egoismi e sproporzionata nelle sue ombre e luci. Una città che basa la sua serenità e prosperità sull’esaltazione di una bugia, quella dell’incorruttibilità di Harvey Dent e, di riflesso, della purezza e giustezza di tutto ciò per cui Dent si è battuto: l’ordine sociale, il sistema, la legge.
Gotham è una città sotto i cui precari equilibri cova un odio generazionale e sociale inimmaginabile. Così simile alla nostra realtà, la città del film è popolata di individui schiacciati dalla catena delle regole e delle leggi, in attesa di un’occasione per scatenare il proprio desiderio predatorio contro i ricchi e i potenti di oggi. Perché gli uomini di Gotham non cercano giustizia, ma rivalsa. Non chiedono equità, ma bramano di sostituire vecchi poteri con nuovi. Non vogliono l’uguaglianza, ma l’inversione delle parti. E in questa critica feroce della città di Gotham si cela la profonda, struggente riflessione misantropica di Nolan, una riflessione all’interno della quale il regista tenta di rispondere all’annosa domanda “cosa può fare un eroe in un mondo del genere?”.
Dopo aver accettato su di sé il carico di morte e distruzione seguito alla caduta di Harvey Dent, Batman è scomparso dalle cronache. Da otto anni sulla sua testa pende una taglia, e da otto anni Bruce Wayne sembra aver perso ogni stimolo alla vita.
Già nel secondo capitolo il miliardario gothamita era stato spezzato dalla furia anarchica del Joker. Colpito negli affetti, colpito nelle strutture mentali, colpito nel cuore della fiducia sociale che Bruce nutriva nelle istituzioni, incarnate dall’incorruttibile Harvey Dent, l’uomo non era ormai che un involucro. Per contrastare la rivoluzione tematica e morale di Joker, Bruce aveva dovuto rivolgersi al simbolo, attingere alla sua forza archetipica, trovare nell’Idea di Batman e nella sua assolutezza quella forza che né lo Stato né la sua umanità potevano più dargli.
Ma quando anche il simbolo è stato immolato sull’altare del bene di Gotham, alimentando una menzogna che potesse riportare la città alla pace e alla prosperità, non restava più nulla a dar forza a Bruce.
L’uomo spezzato da Joker ricompare di fronte allo spettatore in tutta la sua pateticità, condannato ad un isolamento auto-imposto che ha il sapore dell’espiazione di una colpa.

Non servitevi dunque di questo termine così nobile, ideale, quando per dire la stessa cosa abbiamo nella lingua di tutti i giorni un’espressione eccellente: menzogna.
Henrik Ibsen

Ma un nuovo male sta sorgendo nelle profondità delle fogne di Gotham. Un male che sembra così nuovo, eppure così antico. Un male alimentato dalla fede.
Nolan ci mostra la nuova sfida preparata per il Cavaliere Oscuro, una sfida che lo porrà stavolta a confrontarsi con la stessa forza che lo spinge: l’idealismo. Ma abbrutito come attraverso uno specchio deformante nelle sordide forme del terrorismo, dell’estremismo, della dittatura, figlie esaltate di quello stesso desiderio di “equilibrio” che Ra’s Al Ghul aveva nel primo capitolo propugnato. E questo Bane, la cui maschera copre la parte inferiore del viso come quella di Batman copre quella superiore, cos’è se non l’interpretazione distopica di tutto ciò che l’utopia batmaniana rappresenta?
Il piano di Bane è semplice: lo sterminio di una civiltà che non merita di esistere. Ma prima, l’inganno della rivelazione. Prima di distruggere la città di Gotham, bisogna dimostrare al mondo e ai gothamiti stessi perché essi meritino di essere distrutti. E per fare ciò basta scardinare le regole e i costrutti sociali e istituzionali che regolamentano la vita civile, e lasciare che la gente torni ad essere ciò che intimamente è. Lasciare che sfoghi le proprie frustrazioni e complessi, il proprio desiderio di rivalsa, contro quella ricchezza e quel potere che ha sempre tollerato solo per convenienza, ma che non ha mai realmente accettato. Nella rivoluzione di Bane si nasconde tutta l’ipocrisia della società occidentale, una società che si definisce “libera”, e che pure non lo è, e come tale vive di odi sepolti e rancori mai sopiti, di invidie, di brama di violenza e paura di scatenarla.
Ma quando qualcun altro si prende la briga di accendere la miccia, di dar fuoco alle prime polveri, allora la rabbia non ha più timore di scatenarsi, e tutta la moralità, il rispetto delle leggi, l’etica civile, diventano poco più che suoni persi nei clangori della rivolta.

Gli ideali hanno strane proprietà, e fra le altre anche quella di trasformarsi nel loro contrario quando si vuol seguirli scrupolosamente.
Robert Musil

 

Gotham davvero meriterebbe di essere distrutta, e con essa tutto ciò che rappresenta. Questo è il messaggio che Nolan ci dà attraverso Bane. Lo spettatore attento non può che provare sbigottimento e vergogna di fronte alla rivelazione di tutte le ipocrisie e le ombre che tengono insieme il monfo occidentale, di cui Gotham è uno specchio in frantumi. Bane scopre il velo, rivela la vera natura di questo mostro di luci e dollari, e per un attimo non si può fare a meno di pensare di esserselo meritato, tutto l’odio che dal basso, dalla povertà, dalla miseria, dalla sofferenza, ci si riversa addosso.
Ma allora perché combattere? Cosa resta?
Cosa rimane a Bruce quando anche l’ultima bugia su Rachel, che l’ha tenuto ancorato a quel lato umano che non gli dà più alcuna gioia né soddisfazione, viene rivelata?
Gordon, Alfred e Batman si rendono conto con dolore di quanto sia stata catastrofica la sconfitta inflitta loro dal Joker. Gotham è stata restituita alla pace, ma loro ne sono usciti distrutti.
Per salvare la città, hanno perduto loro stessi, cedendo alla menzogna, al dubbio.
Ritrovandosi a credere che l’unico modo per andare avanti fosse quello di costruire la propria rinascita su una bugia, svilendo così tutti gli ideali per cui si erano battuti.
Ed è stato facile per tutti voltare le spalle a Batman, perché a volte avere un colpevole contro cui puntare il dito alleggerendo la propria coscienza è molto più importante per le persone della verità.
La verità è pesante, la verità soffoca, impone una scelta. Ma ti dà forza, se la accetti, se sai superarne le implicazioni, ti motiva e ti nobilita.

Per giungere nel luogo a cui si tende, bisogna dirigersi con tutte le forze verso un punto molto più alto. Abbassare l’ideale, non solo è diminuire la probabilità di giungere alla perfezione, ma distruggere l’ideale stesso.
Lev Tolstoj 

Bruce accetta la verità, e spiana la via del proprio ritorno. Per lui è come una rinascita. L’aria riprende a filtrare nei suoi polmoni, l’entusiasmo ricomincia a pulsare nelle vene.
Più che il bisogno di Gotham del suo eroe, sembra quasi esserci qui il bisogno dell’uomo a tornare a credere, a combattere, a vivere.
Ma se lo spirito è lo stesso di sempre, tutto il resto non lo è. Otto anni sono passati, e sono otto anni che pesano come un macigno.
Il primo confronto con Bane è di una violenza inaudita. Bane, e tutto ciò che rappresenta, un idealismo mostruoso che si nutre di incondizionata fiducia nella forza sovversiva della sofferenza e del dolore, appare a Batman come un’imbattibile lastra di granito. Non è uno scontro fisico fra uomini, ma uno scontro concettuale. La fame vince contro l’agiatezza, la povertà contro l’opulenza, la brama contro la volontà, la violenza contro la forza.
Bane è l’onda del disagio che si erge dalle ombre dell’indifferenza per abbattersi su Gotham. Batman quel disagio ha smesso di guardarlo negli occhi per troppi anni, e solo troppo tardi realizza la portata del suo errore.
Chi desidera sopravvivere vincerà sempre contro chi si limita a vivere. Ma Bruce Wayne è davvero abituato a sopravvivere dopo otto anni di inattività? Conosce ancora quel mondo che ha ricominciato a combattere?
La sua fiducia in Selina Kyle presuppone di poter scendere a patti con una donna che ti chiede qualcosa, in cambio di qualcos’altro. Una donna infida e abituata al raggiro, ma interessata a qualcosa che fa credere a Bruce di poterla tenere in pugno. Ma le velleità di un equo scambio divengono prive di appeal quando la propria vita viene messa a rischio. Sopravvivere non è un’opzione, e qualsiasi cosa si desideri, tutto è sacrificabile se sull’altro piatto della bilancia c’è la vita. Selina sceglie prima di tutto di continuare a vivere, per continuare a inseguire i suoi desideri in seguito.

Ma ormai è troppo tardi per pentirsi dell’errore. Bruce Wayne è prostrato, Batman è spezzato.
L’uomo che un tempo era l’anima di Gotham viene gettato in una prigione millenaria, un pozzo aperto sul cielo che non può essere scalato, ma la cui via d’uscita sempre visibile ai detenuti provvede ad acuire la loro disperazione.
Incapace persino di tenersi in piedi, Bruce viene condannato ad assistere alla rovina di Gotham.
Inizia qui la parte più bella del film.
Precipitato nel baratro più profondo della sua coscienza, attanagliato dal senso di colpa e dalla vergogna della sconfitta, piegato dal dolore della schiena spezzata e costretto a strisciare in terra come un verme mentre il terrorismo stupra la sua città davanti ai suoi occhi, Bruce Wayne muore.
Il ricco rampollo di una dinastia durata generazioni, non esiste più. Il magnate della finanza e ricco industriale, è stato spazzato via dalle cronache, perso nelle profondità del suo fallimento.
La vita agiata, le donne, lo sfarzo, il mondo onirico e opulento che rappresentava la sua vita esteriore, la sua patinata esistenza diurna, che tanto aveva viziato però le sue consapevolezze rendendolo completamente impreparato a sostenere l’urto di chi era cresciuto nella povertà e nella prigionia, cessano di esistere per sempre.
Ma Bruce non è solo. C’è qualcosa in lui che l’umiliazione inflittagli da Bane non è riuscita a uccidere. Qualcosa che vive nei recessi più profondi della sua anima, qualcosa di feroce, di selvaggio.
Un qualcosa che ha fame, come Bane. Che brama riscatto, rivincita e vittoria, al pari e forse più dei suoi avversari. Qualcosa di indomito e di irrefrenabile, un’Idea così pura e incandescente da riaccendere il fuoco nelle vene stanche di Bruce.
Lì, nella prigione del pozzo, la forza dei muscoli non conta. Non contano i gadget, l’addestramento, la conoscenza, le possibilità. Non conta chi sei, cosa hai fatto, o qual è la tua esperienza.
Alzi lo sguardo dal profondo della fossa verso il cielo, e vedi l’uscita. E gli altri te lo dicono, ti invitano. DESHI BASARA, sollevati. Sollevati. Ma come?

Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce.
Platone

Non è nel superare le proprie paure che Bruce può trovare la forza di cui ha bisogno. L’ha già fatto, ma non è bastato. Bruce deve provare paura. Deve desiderare di sopravvivere. Non avere paura della morte significa non avere amore per la vita. Lo spirito non può sollevarsi senza la luce della speranza. Cosa c’è, in Gotham, che ti dia ancora la speranza di poterla salvare?
C’è ancora moltissimo da salvare. C’è la fiducia di Alfred, che è stata tradita. C’è l’eroismo di Gordon, che non ha mai cessato di credere in Batman. Ci sono i bambini di Gotham, la promessa di un futuro libero dalla colpe dei padri. C’è John Blake. C’è Selina Kyle.
Ci sono tutti coloro che non hanno premuto il detonatore che il Joker aveva messo loro in mano.
Ci sono le migliaia di poliziotti che stanno sopravvivendo fra gli stenti e le privazioni in attesa di un’occasione, solo di un’occasione, per liberare la propria città.
Bane ha gettato Batman nella fossa sperando di uccidere l’Idea stessa che Batman rappresenta, mettendolo davanti al suo fallimento. Un errore fatale.
Rinchiuso il corpo fra le mura di una prigione insormontabile, lo spirito si eleva come mai prima aveva fatto verso l’ideale. E la luce che egli trova nelle profondità della propria anima, è accecante.
Una luce che, prima di lui, si era accesa solo nel cuore di una bambina. Un cuore giovane e ancora ricolmo di speranza.

La lunga cavalcata che segue la rinascita di Batman è a dir poco esaltante.
La redenzione di Selina Kyle rappresenta la forza trascinante dell’esempio. Anche una persona egoista e individualista ha dei sogni e delle speranze. E lei sogna la libertà. La libertà dal mondo, la libertà dal passato. Ma non si è mai veramente liberi né vivi, se non si ha qualcosa per cui si sarebbe disposti a morire. Di fronte alla libertà di andare dovunque voglia, evaso da una prigione ineludibile, Bruce sceglie di correre verso la morte. Ma non lo fa perché la brami, ormai il suo vuoto interiore è superato, la luce che brucia nella sua anima lo spinge verso la vita. Verso la speranza di vincere, di continuare a combattere.
Nell’esempio di Batman, Selina ritrova la possibilità di uno spiraglio, la voglia di ricominciare a credere. Batman le restituisce la fede che aveva perduto.
Trascinata dal simbolo, la città lentamente risorge. Nelle strade, nelle case.
La paura del terrorismo, l’oscurità di chi ha ceduto al compromesso, di chi è sceso a patti con Bane, ha trasformato Gotham in una “terra di nessuno”. La salvezza non può che arrivare dall’interno, e arriva.
C’è la rivelazione finale del vero “villain” della storia, Talia Al Ghul, c’è lo scontro e il riscatto dell’eroe. Ci sono gli alleati Selina Kyle e John Blake, l’una illuminata dalla fulgidezza dell’esempio, l’altro affascinato dall’empatia col simbolo. Ci sono Gordon, Alfred e Fox, le icone.
Ognuno di questi fantastici personaggi meriterebbe una menzione a parte, ma non è questa la sede adatta. Qui noi parliamo del simbolo, dell’Ideale, e della maschera.
Parliamo del percorso che ha accompagnato Bruce Wayne dall’inizio della sua storia come Batman, quando era solo un uomo impaurito in cerca della sua strada, fino all’ultima, epica scelta della sua carriera di Eroe, una scelta che lo identifica ora in tutto e per tutto con l’Idea che ha deciso di incarnare. Perché Bruce ha creduto nel suo simbolo fino a trasmutarsi in esso.
Batman ha saputo contrastare l’idealismo estremo e terrorista degli Al Ghul con il suo idealismo. L’idealismo della luce. Che ha fede e speranza negli uomini. Che crede nella loro forza.
Che crede possano cambiare. Una fiducia che è stata ampiamente ripagata, e che verrà perpetuata. Perché anche se Bruce Wayne è morto, il suo simbolo non morirà mai. Sui tetti del Dipartimento di Polizia di Gotham City, il bat-segnale che era stato infranto viene ricostituito.
Una nuova generazione di eroi già sembra farsi avanti nell’abbraccio della Caverna.
Ciò che sembrava perduto si scopre ritrovato, nella serenità di un assolato bar fiorentino.
Nello sguardo finale fra il padre putativo e il figlio riacquistato si legge la promessa che presto tornerà. Perché Batman non può che tornare. Sempre.