THE DARK KNIGHT – ATTENZIONE SPOILER!

Si è fatto un gran parlare del cosiddetto “realismo nolaniano”. Ma in cosa consiste davvero?
Nei dettagli di un’armatura in kevlar e fibra sintetica di derivazione bellica? Nell’utilizzo di gadget ad avanzatissima tecnologia o di una Batmobile che sa più di guerra nel deserto che di fumetti?
Io credo che il realismo su cui Christopher Nolan ha costruito la sua trilogia si fondi su due assunti fondamentali:

Chi trova tiene.

Non è tanto chi sono, quanto quello che faccio, che mi qualifica.

Indifferentemente che si sia apprezzato di più Batman Begins o il suo sequel, la maggioranza dei cine-appassionati ha creduto di riscontrare una linea di discontinuità fra le due pellicole. Discontinuità che inevitabilmente si traduce poi nell’assenza di coerenza tematica fra i primi due capitoli della trilogia, quasi che il loro protagonista non fosse lo stesso personaggio.
Ma se focalizziamo l’attenzione sui due assunti citati, potremo renderci conto di come essi abbiano accompagnato i personaggi dell’epica nolaniana dall’inizio alla fine, senza interruzione.
La grande costruzione nolaniana trova la sua forza nel non essere semplicemente il canto celebrativo del più famoso degli eroi della DC Comics, ma uno scontro ideale e filosofico fra le tre più importanti correnti di pensiero della contemporaneità: esistenzialismo, nichilismo, idealismo.
Attori e interpreti di questo scontro sono Batman e i suoi oppositori, i quali non lo osteggiano soltanto sul piano fisico, ma anche e soprattutto su quello concettuale.
Il realismo di Nolan trova quindi la sua celebrazione più immediata nel cercare di rispondere a quelle domande che ognuno di noi, nel suo piccolo, non può esimersi dal confessare di essersi posto almeno una volta. Domande sul bene e sul male, su giusto e sbagliato, sul senso o sul non-senso della vita, sull’urgenza della scelta, sul valore dell’etica.
E non si pensi che sia un vezzo o un caso che Nolan abbia scelto di utilizzare proprio Batman come canale preferenziale per la narrazione di una battaglia tematica di così vaste proporzioni. Cosa rappresenta Batman, infatti, se non l’icona di ciò che di più realistico e concreto abbiamo oggi a designare l’essenza della nostra società dei consumi? Maschere e simboli. Di essi noi viviamo, ed essi noi indossiamo ogni giorno.
In Batman Begins abbiamo assistito alla solutidine di Bruce, alla sua condanna ad essere libero, a scegliere senza condizionamenti e senza appoggi, abbandonato a se stesso, cosa fare della sua vita.
Abbiamo imparato a comprendere insieme a lui cosa significhi avere quella libertà che molti spesso rivendicano. Cosa significhi avere il potere di decidere, e dover poi essere all’altezza di ciò che si è scelto di fare, o di portarne il peso. In questo profondo senso di solitudine e di abbandono dell’essere umano ritroviamo tutte le tematiche care all’Esistenzialismo.
Bruce e Ra’s sono entrambi individui gettati nella disperazione della perdita, che non possono superare il proprio dolore o il proprio passato (“chi trova tiene”), ma possono elaborarlo per dare un fine alla propria vita.
Entrambi cercano di definirsi, di qualificarsi, attraverso le proprie azioni. E in questo conflitto deontologico Batman non è davvero nulla più che uno strumento, un deterrente, un inganno. Perché teatralità e inganno sono strumenti potenti. Batman è un simbolo, ma non è ancora un’Idea.
Le cose cominciano a cambiare nel secondo capitolo della saga, quando l’Esistenzialismo di Bruce compie i primi passi per tramutarsi in Idealismo ed incontra la sua peggiore nemesi: il Nulla.

Certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo.

Dire che il nichilismo sia una dottrina priva di principi non è giusto, né vero. Il Joker di Nolan è pieno di principi, e non perde occasione di sciovinarli allo spettatore in due ore e mezza di macabra distruzione di tutta una serie di concetti sociali quali la giustizia, il bene, la famiglia, la morale.
Per Joker il paradigma per misurare la volontà di fare del bene o di seguire le regole delle persone si declina con la paura della ritorsione, della minaccia, della perdita.
Quanto siamo disposti ad essere cittadini irreprensibili se sappiamo che ciò renderà nostra moglie o nostro figlio un obiettivo?
All’apice della sua decostruzione morale, Nolan addirittura fa suggerire a Joker che sia il caos e l’anarchia l’agente ultimo di giustizia ed equità in questo mondo.
Nolan lascia che Gotham e Batman escano sconfitti dalla battaglia con Joker sul piano ideologico, ma non su quello sostanziale.
Se i cittadini di Gotham sembrano disposti per più di un attimo a condannare degli innocenti solo per salvare se stessi, di fatto poi non lo fanno. Ed anche quando Batman sembra sull’orlo di cedere a quel delirio di onnipotenza che, unico, sembra potergli fornire gli strumenti per contrastare un Male di natura così esasperata, in un magistrale coupe de thèatre la fiducia dello spettatore, unitamente a quella di Lucius Fox, viene debitamente ripagata dall’esaltante finale.
Ancora una volta non è tanto ciò che siamo (o intimamente pensiamo), ma ciò che facciamo concretamente, che ci qualifica.
La forza inarrestabile che trova fondamento e terreno fertile nella nostra paura dell’insondabile e dell’inconoscibile, si scontra così con l’oggetto inamovibile, figlio delle aspirazioni e delle motivazioni che non in molti siamo in grado però di conservare intatte, pure, fino alla fine del nostro percorso di vita.

O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo.

Una battaglia destinata a durare per sempre all’interno dell’animo di ognuno di noi. In un eterno equilibrio, fra la voglia di smettere di credere, e la necessità di continuare a farlo.
Il personaggio di Joker, interpretato magistralmente da Heath Ledger, è un condensato esplosivo di nichilismo e di egoismo stirneriano.
Il suo concetto di nulla si basa sulla rivendicazione assoluta della libertà dell’Io, senza alcun confine sociale, etico o morale, concetti tutti considerati ipocriti o surreali.
Joker rimprovera a Batman di aver cambiato le cose, per sempre. Ma che cosa ha cambiato Batman? Che cosa rappresenta?
Veniamo qui al ruolo apotropaico della maschera, alla sua capacità di esorcizzare le barriere di falsità e ipocrisia sociale che la collettività è costretta a erigere per il suo stesso funzionamento, lasciando così emergere la vera natura del suo portatore, il suo intimo essere.
Il clown riconosce a Batman il merito di aver per primo sollevato il velo delle illusioni restituendo se stesso alla sua vera natura. Ma il suo diletto è nel dimostrare come, proprio lui, icona della Verità attraverso la rivelazione della maschera, si sia fatto paladino di concetti e valori che sono invece fondamentalmente falsi e illusori. Lui, fenomeno antisociale e anticomunitario, che sceglie di celare il viso dietro una maschera e di muoversi al di fuori delle regole e dei limiti imposti dalla collettività, di quella stessa collettività si fa difensore e simbolo.
Per Joker è come trovarsi di fronte a uno studente dotato del suo stesso talento, che prima di tutti arriva a comprendere la soluzione dell’enigma, ma che non riesce a trovare il coraggio di risolvere l’equazione. Peggio, che si ostina a non volerla risolvere. Si rifiuta di farlo, perché non lo trova “giusto”. Un giocattolo irresistibile per Joker.
Come spezzare allora la volontà di Batman? Come farlo cedere? Il simbolo, l’Idea, non può essere distrutta. Ma si può colpire l’uomo dietro la maschera.
Con il senso di colpa, facendo di lui un capro espiatorio, lasciando che la gente getti addosso a lui il peso di responsabilità che non può assumersi di per sé. E distruggendo l’uomo che Batman aveva scelto per la riscossa di Gotham, un simbolo di pulizia, di fede, di speranza e di morale integerrima.
Un procuratore distrettuale, un uomo delle istituzioni. Un pubblico ufficiale. Un viso noto a tutta la città, una persona dalla vita senza macchia, senza ombre.
Ma è proprio per questo che Harvey cede. Perché Harvey non è che un uomo, dilaniato da due nature. Come tutti noi.
Un uomo che aspira al bene, ma che conosce il male. Un uomo che rispetta la legge, ma che ancora di più ambisce la giustizia. Anche una giustizia che trova albergo oltre la legge, o addirittura fuori di essa. Harvey siamo noi, siamo coloro che possono essere spezzati. E’ l’uomo nudo di fronte a se stesso, privo del potere della maschera.
Ma Batman è un’Idea, è un simbolo che non può essere spezzato. La forza che manca all’uomo, non viene meno all’archetipo. Le paure, le titubanze, i timori dell’uomo, sono esorcizzati dal potere della maschera.
Ecco quindi, assecondando anche nelle conclusioni la chiave di lettura filosofica che abbiamo voluto dare a questa disamina, che l’eterna battaglia fra il Nulla e l’Idea trova il suo compimento. Il Nulla si impone sulla debolezza della materia reale, ma non può scalfire l’assolutismo dell’Ideale.
Joker sferra un attacco senza precedenti al concetto di etica, di “bene”. Se l’etica soggettiva ha bisogno di un’autorità più alta per definire cosa sia bene e cosa sia male al di là delle valutazioni personali dei singoli, e si rifugia quindi in ciò che ci dicono 1- le leggi dell’autorità dello Stato 2- ciò che la collettività desidera 3-  quel che Dio vuole da noi, è facile pensare come un agente nichilista come Joker possa completamente sradicare una dopo l’altra ognuna di queste “autorità” superiori. Posto di fronte al suo isolamento concettuale, senza più lo scudo di qualcosa di più alto, di più grande, l’uomo cede.
Ma Batman non ha ceduto. Perché al di sopra di Bruce Wayne, c’è il simbolo, c’è l’Idea di Batman. Un’idea che asseconda una quarta fonte di autorità etica: Batman stesso.
Bene è ciò che Batman decide che sia. La maschera trae da se stessa l’autorità di cui necessità per fare ciò che nessun’altro potrebbe.
La maschera continua a esistere anche laddove la società, lo Stato e Dio sono morti.
Perché Batman non è un eroe. Non è “buono”, né politicamente corretto, non deve seguire un copione sociale fatto di leggi, regole, procedure e diritti. Non è un procuratore distrettuale, e non è un uomo. È un ideale, e in quanto tale può permettersi il lusso di fare la cosa giusta anche al di fuori dei canoni riconosciuti, anche quando valori come l’etica e la morale vengono schiacciati, vilipesi, distrutti da agenti caotici che mettono in ginocchio la società. Se agisci fuori dalle regole, la distruzione delle stesse non può toccarti. L’Ideale non vive delle regole degli esseri umani, ma trova legittimazione e forza in se stesso. La distruzione del tessuto sociale può toccare l’uomo, ma non la maschera. Il cuore, ma non l’Idea.
Batman non uccide, ma non è tenuto a salvare. Batman non ha interesse per le giurisdizioni internazionali, è un Ideale di giustizia che non conosce frontiere.
Il Pipistrello plana al di sopra di concetti come la moralità e il caos, orienta il suo volo verso le grida di chi chiede aiuto, è giudice e giuria, e se questo è un male, non è l’uomo a doverne rispondere, ma il simbolo.
Batman può fare qualcosa che nessun uomo potrebbe fare. Uscire dagli schemi, rifiutare le regole. Fare la cosa giusta. Indossando la maschera Bruce perde la sua umanità, e ascende ad un livello superiore. Le inibizioni sociali si perdono, le regole si infrangono, le paure si sfidano, i tabù si violano. Chi ha dato a Batman questa autorità? Chi gli dà il diritto di fare la cosa giusta al di fuori delle regole universalmente riconosciute? Nessuno.
Batman è un Cavaliere che ha ricevuto la propria investitura solo da se stesso. Solo in se stesso, nell’Idea e nel simbolo, egli trova la sua legittimazione.
È un Cavaliere, perché si batte in difesa di chi non può difendersi da solo. Ma non chiede il permesso di farlo. Non sente il bisogno di essere riconosciuto. Può sopportare di non essere l’Eroe che Gotham vuole, accontentandosi di essere ciò di cui la città ha bisogno.
Un Cavaliere Oscuro.