CACCIATORI DALL’ARCO LUNGO

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Testi: Mike Grell
Disegni: Mike Grell
Titolo originale: Green Arrow – The Longbow Hunters, miniserie di tre numeri in formato prestige
Edizione italiana: brossurato unico, Planeta De Agostini

C’era un tempo in cui le frecce erano truccate, accompagnate da guantoni da box, da manette, da reti per imprigionare. C’era un tempo in cui il divertissement s’imponeva sulla riflessione, un tempo in cui il nostro sguardo era occluso e Green Arrow era un personaggio buono soltanto per qualche tag team in cui il suo umorismo e il suo essere “macchietta” risaltasse nei confronti di eroi più profondi e serafici.
L’attuale Freccia Verde è qualcosa di assai diverso, è un eroe consapevole delle sue responsabilità, del suo essere letale, e molto più riflessivo e silenzioso di quanto non sia mai stato lo scanzonato Oliver Queen di qualche tempo fa.
Mike Grell è stato lo spartiacque di questo cambiamento eclatante… E da “uomo vestito da Robin Hood” a “cacciatore urbano”, possiamo assicurarvi che il passo è assai lungo, forse enorme.
Riprendendo la strada tracciata da O’Neil e Adams nelle storie che vedevano l’arciere in accoppiata con Hal Jordan, Grell volle dipingere un Oliver figlio della strada, capace di calarsi empaticamente fra coloro che abitano i bassifondi, la melma della società. Le atmosfere cupe e drammatiche della vicenda si sposano perfettamente con una rinnovata consapevolezza, da parte del lettore, di cosa significhi tirare con l’arco.
Lanciare un dardo contro un nemico significa esporlo a lesioni inguaribili, a dolori di rara acutezza. Una freccia scagliata da un arco della potenza di 60 libbre in tensione può frantumare le ossa, storpiare a vita, uccidere all’istante.
Il personaggio mascherato che tirava guantoni da box in faccia ad altrettanto arlecchineschi nemici era morto, e nasceva un nuovo vigilante delle strade, un cacciatore in agguanto contro corrotti, stupratori e assassini, animali feroci nella giungla metropolitana.
Non esiste una legge scritta che sia valida quanto quella non scritta che ci portiamo nel cuore. Quella che ci è dettata dalla nostra coscienza, e che ci indirizza verso il giusto e lo sbagliato. Quella che ci impone di scegliere delle priorità, e di abbattere i nostri dogmi, qualora la difesa di queste priorità lo richieda.
Oliver sceglie di difendere, di proteggere, e di inseguire la giustizia che egli porta dentro di sé. Non sceglie di non uccidere, come molti altri eroi anche più “oscuri” di lui, ma di proteggere.
Uccidere, se inevitabile, non è più un tabù.
Indubbiamente un valore aggiunto di questa storia è costituito dall’ambientazione orientaleggiante, per l’ascesi del kyudo che insegna a proiettare il proprio spirito nella freccia scoccata, per il tema maturo che si affronta.
L’Oriente ha sempre esercitato grande fascino sul lettore occidentale, soprattutto quando, come in questo caso, risulta depositario di conoscenze e di abilità superiori.
La quotidianità condivisa da Oliver e Dinah, i loro discorsi, la loro convivenza, i loro sguardi sono un tuffo al cuore. La bellezza della loro semplicità non fa altro che acuire il dramma che la donna va a vivere in conclusione della storia… Nondimeno spesso è proprio con i drammi che si costruiscono i capolavori, e questa storia è un capolavoro.
Il “romanticismo” di Oliver, quell’ottocentesca rimarchevole nostalgia per un tempo antico e genuino, dove il valore e l’onore rendevano la vita più semplice, è capace di incantare un animo appassionato con il sapore dell’eroico.
In un certo qual modo è impossibile non rivedersi in questo gentleman demodé che sa tanto di secolo scorso, così come ci si sente vivi quando si va a cavallo, ci si allena con una spada di legno nel bosco o si va in giro per i monti l’estate.
Quel che è caro a un cuore che vive di valori genuini, quelli esaltati poi in questa storia, è l’essere ricondotti a una condizione esistenziale più naturale ed eroica, che è in ultima analisi l’espressione che io apprezzo di più dell’essere umano.

A cura di Marco Cecini