Il concetto di viaggio ne Lo Hobbit
Essere precisi non rappresenta la fine di un viaggio. Essere precisi costituisce il cammino indicato, la direzione ottimale o quella meglio consigliata. Se ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria è pur vero che, il più delle volte, l’accumulo costituisce un “più”, rispetto all’idea principale.
Viviamo in un’epoca ricca di incertezze, dove gli equilibri sono precari e il dissenso è padrone delle nostre vite. Tutte. Se alla ricerca della certezza noi sacrificassimo (ancora una volta) la nostra, personalissima, libertà saremmo figli di un’era colma di regresso economico, sociale e psicologico. E’ l’ottimismo la chiave di volta del positivismo: “non concedete niente, ma prendete da loro tutto”.
La letteratura (e l’arte) ci ha insegnato, inoculato, che il viaggio è la mirabile ascesa (metafora) dell’uomo che si solleva e, con la forza delle idee e del giusto, riesce là dove altri hanno fallito o abbandonato. Nello stesso, identico, modo abbiamo combattuto e compreso che il percorso il più delle volte è irto di problemi e pericoli invalicabili (apparentemente) e che il loro superamento è la chiave del mutamento e della maturazione del viaggiatore (Io, Me, Mio) che volge il suo cammino positivamente e trasforma il percorso in avventura.
Gli hobbit sono (o erano) gente piccola, alta all’incirca la metà di noi, e più bassa dei barbuti nani.
Gli hobbit non hanno barba. In loro c’è poco o niente di magico, a parte quella magia di tipo comune e quotidiano che li aiuta a sparire silenziosi e rapidi quando persone ingombranti e stupide come me e voi gli capitano intorno, con un rumore da elefante che essi sono in grado di sentire a un miglio di distanza.
Un breve e selezionato excursus sul viaggio nella Letteratura di J.R.R. Tolkien
J.R.R. Tolkien (1892-1973) è la letteratura che, in epoca contemporanea, torna e s’incarna per narrare le gesta di una terra antica, ma non dimenticata. La Terra di Mezzo (Arda) è ciò che più si avvicina all’iconografia classica dei miti del nord Europa e trascende nella narrazione dello scrittore di origine inglese, tanto da donare al mondo, una delle saghe letterarie più belle (se non la migliore) e vive del secolo scorso: Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e il Silmarillion.
I sei libri che compongono Il Signore degli Anelli (sei, suddivisi in tre tomi, conosciuti ai più come La Compagnia dell’Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re) hanno preso vita verso la fine del XX secolo e l’inizio del XXI in una straordinaria trilogia filmica, dovuta al regista neozelandese Peter Jackson (Bad Taste, King Kong, Amabili Resti) e alla sua impressionante vena visionaria. La trilogia che narra le vicissitudini di Frodo (il portatore dell’Unico Anello), di Aragorn (il Ramingo destinato a guidare gli uomini), Gandalf (il Grigio stregone che ascende all’illuminazione), Sauron (l’oscuro signore, il male antico), Gollum (la corruzione) e tutti gli altri protagonisti di questa incredibile opera ha posto delle nuove basi, sia per la cinematografia mondiale che per un nuovo modo di raccontare l’epica del fantasy.
Jackson è sempre stato un grande appassionato degli scritti di Tolkien, e i milioni di fan dell’autore hanno potuto assistere alla trasposizione del loro libro preferito (con non poche critiche, ma si sa, la perfezione non è di codesta terra) come mai prima. Il successo dei tre film ha generato una corsa all’accaparramento dei diritti di adattamento di un’altra opera di Tolkien: Lo Hobbit. Questi è una sorta di prologo del Signore degli Anelli (c’è chi dice che sia il primo capitolo della stessa opera) che narra il viaggio dello hobbit Bilbo Baggins, dello stregone Gandalf il Grigio e di tredici nani, guidati da Thorin Scudodiquercia, alla riconquista del tesoro dei nani (e del loro antico regno) sottratto dal tremendo drago Smaug. Ora, ancora una volta, Peter Jackson ci riporta nella Terra di Mezzo per un altro lunghissimo viaggio: Un Viaggio Inaspettato!
Un viaggio inaspettato: un’analisi sul primo film della trilogia de Lo Hobbit
Jackson ha scritto (insieme a Guillermo Del Toro) la sceneggiatura per due film tratti dallo Hobbit, trasformando poi l’operazione in tre pellicole (Un Viaggio Inaspettato, 2012 – La Desolazione di Smaug, 2013 – Andata e Ritorno, 2014); egli ha scelto di narrare la storia di Bilbo distaccandosi a tratti dall’opera originale (Lo Hobbit è molto più favolistico rispetto all’epica del Signore degli Anelli, è una favola che Tolkien scrisse in primis per i figli) ma mantenendo fede allo spirito del libro, dei suoi aspetti principali e con un occhio alla sua prima trilogia.
Trasformando le avventure di Bilbo in dei veri e propri prequel della “Guerra dell’Anello” il regista ha attinto a piene mani sia dalle avventure di Baggins che dalle Appendici del “Signore”, inserendo nei film riferimenti ad eventi futuri o accennati velatamente (Dol Guldur) e personaggi solo nominati nel libro (Radagast il Bruno), fornendo una chiave di lettura diversa, ma in totale accordo con l’opera precedente e letteraria. E’ come se Jackson tentasse di amalgamare i precedenti film con questi tre prologhi, creando un’unica esalogia che consegni, nel tempo, l’immensità degli aspetti tolkieniani più belli e la grandezza del suo magnifico lavoro; è parte di un disegno grande che attraversa favorevolmente le ere (Tolkien e la narrazione del tempo) e si tramuta in un corpus d’insieme preciso e limpido, andando a soffermarsi su una serie di personaggi già noti (Gandalf il Grigio, Elrond, Saruman il Bianco, Galadriel -tutti insieme danno vita al Bianco Consiglio, una delle sequenze più belle ed evocative di questo Viaggio Inaspettato-), di alcuni characters che avranno (o hanno) legami nel presente (Thranduil, elfo Sindarin che compare nel Prologo) e di altri che vediamo per la prima volta e rappresentano uno dei fulcri del viaggio stesso (Thorin e i nani).
Questo primo film abbraccia gli iniziali sei capitoli del libro (Lo Hobbit ne consta 19) e si interrompe nel momento in cui i nani, Bilbo e Gandalf osservano in lontananza la Montagna Solitaria, tana di Smaug e antico regno dei nani e del Re sotto la Montagna. Ma su tutto ciò, sul viaggio dello Hobbit e dei nani, aleggia anche se in lontananza l’ombra del Negromante di Dol Guldur (un’antica fortezza in rovina, dove si reca Radagast e fa una scoperta che potrebbe gettare nel chaos la Terra di Mezzo). Riuscirà Gandalf a parlare al Bianco Consiglio e a convincerli che un male antico sta tornando? Saruman gli darà ascolto? E perché Galadriel sembra essere l’unica che intravede del vero nelle parole del Mithrandir? Chi è il Negromante e perché… ma a queste e altre domande (molte risposte le conosciamo, altre saranno rivelate superbamente) Jackson deciderà di rispondere nei prossimi film de Lo Hobbit. A noi resta solo aspettare e pazientare e sperare che la meraviglia della Terra di Mezzo venga rivelata ancora e ancora.
Viaggio nella Terra di Mezzo – Ritorno in nuova zelanda
Il ruolo della natura ne Lo Hobbit
Forse è un bene che i tre film dello Hobbit siano stati girati dallo stesso regista della trilogia del Signore degli Anelli, è un bene perché parliamo di un autore che ha effettuato una maturazione (in primis stilistica) proprio grazie alle opere di Tolkien rese film, è un director apprezzato dai più e che ha investito anima e corpo in questo progetto enorme, deludendo sì (pochi) ma anche accogliendo schiere di appassionati (tolkieniani, fan di Tolkien, amanti dell’epica e del fantasy, nerd, curiosi, critici ed estimatori, cultori, semplici appassionati di cinema, semplici appassionati e via dicendo) che lo seguirebbero in capo al mondo e difenderebbero il suo operato sempre e comunque.
Il corpus di ISDA, coadiuvato da LH è un’unica impresa, frammentata per permetterne la rilettura in chiave cinematografica: se inizialmente si era pensato che tre film per Lo Hobbit potessero essere relativamente troppi, ora basta fare presa sul fattore narrativo, sull’integrazione (Hobbit + Appendici) e sul voler fare di questa nuova trilogia la giusta base prologo di LOTR. Ecco che Jackson torna nella sua personale Terra di Mezzo per girare, la Nuova Zelanda. Terra dalle inestimabili ricchezze geografiche e dagli immensi paesaggi, dove l’occhio si perde al solo pensiero di poter osservarne la grandezza e il desiderio di ritorno è proporzionale a quello di andata, attraverso una desolazione che è figlia, realmente e per la prima volta, di un viaggio inaspettato.
E’ una parabola di ripresa quella del regista, la ripresa dell’evocativa nota impressa nei precedenti film e il ritorno di un modo di narrare quelle stesse atmosfere, la Nuova Zelanda offre una paesaggistica importante e florida per raccontare il viaggio del signor Baggins, di Thorin e di Gandalf e non a caso lo stesso Jackson cita se stesso quando, in fila indiana, la Compagnia di Thorin attraversa le Montagne Nebbiose o le grandi pianure (inseguiti dai Mannari contrastati da Radagast) o semplicemente stazionano nei boschi: il viaggio è lo stesso, il tema pure, ma è lo scopo e il fattore crescita che differenzia questa compagnia dalla precedente (o successiva). Bilbo viene “arruolato” come scassinatore e spetterà a lui gravarsi di compiti di cui in vita non aveva mai sentito parlare e il provvidenziale arrivo di Gandalf costituisce la chiave che darà inizio all’avventura, perché è di questo che si tratta, di un’avventura. Il viaggio dei 15 è appena iniziato, buona fortuna!
La trama de Lo Hobbit
Il film ha principio proprio dove Il Signore degli Anelli iniziava, il Prologo è il pomeriggio che precede la festa in onore di un anziano Bilbo Baggins (Ian Holm, lo Squartatore di From Hell) indaffarato trai suoi stessi ricordi e gli ultimi preparativi in favore del suo caro nipote Frodo (Elija Wood, il killer Kevin in Sin City, uno dei camei più belli che Jackson potesse regalare ai suoi fan e a quelli di Tolkien). Ecco il debutto de Lo Hobbit e il passaggio di testimone in favore del giovane Bilbo (Martin Freeman, il Watson della serie TV inglese Sherlock). Freeman narra di un Bilbo spaesato e tranquillo che viene catapultato suo malgrado in un’avventura, nei panni di uno “scassinatore” (così dice il famoso contratto dei nani), dallo stregone Gandalf il Grigio (Ian McKellen, il Magneto della trilogia degli X-Men, riprende la staffa e gli abiti del personaggio più iconico degli scritti di Tolkien e regala ancora una volta l’ottimale interpretazione del migliore dei cinque stregoni).
Il viaggio ha inizio e dopo una serie di peripezia (i tre troll, i giganti di roccia) la compagnia arriva a Gran Burrone, regno di Elrond (Hugo Weaving, l’Agente Smith di Matrix, torna in uno dei suoi ruoli più belli, in tutta la sua regalità) e luogo sicuro nelle terre percorse. Qui Gandalf ottiene udienza dal signore degli elfi, da Saruman il Bianco (Christopher Lee, l’immenso Conte Dooku di Star Wars, riporta in vita lo stregone che sembra non credere alle parole di Gandalf, ancor meno a quelle di Radagast) e da Galadriel, signora di Lothlòrien (Cate Blanchett, Lady Marion in Robin Hood, veste in questa occasione ancora una volta i candidi abiti della Dama di Lòrien).
A metà strada tra il dramma e la follia, Gollum riemerge dalle ombre del passato (l’immenso Andy Serkis, Cesare in L’Alba del Pianeta delle Scimmie) e mostra ancora una volta di cosa sia capace la corruzione che circonda l’Anello come un’aura maligna. Si resta ammaliati da Gollum e terrorizzati allo stesso tempo, senza dimenticare la stupenda interpretazione che Seriks dà a questa triste creatura. Su tutti i nani si erge Thorin, l’epico figlio del Re sotto la Montagna e, forse, signore del regno dei nani (Richard Armitage, il mortale Heinz Kruger di Captain America: Il Primo Vendicatore, qui dà forma a colui che potrebbe fondare nuovamente l’antico regno che era in Erebor) e ultimo, ma davvero ben caratterizzato e divertente, Radagast il Bruno (Sylvester McCoy, il settimo Dottore della famosa serie Doctor Who, interpreta il terzo dei cinque stregoni che vagano per la Terra di Mezzo) il mago del Bosco Atro che ha votato la sua vita al servizio nella natura e degli animali, dimentico della sua reale missione, ma non del tutto senza risorse (la sequenza a Dol Guldur che lo vede fronteggiare lo Spettro del Re degli Stregoni è stupenda, per non parlare dell’ombra del Negromante che osserva la loro battaglia e si staglia su tutta la fortezza in rovina).
Ecco la premessa che Jackson fa nel primo film della sua nuova trilogia, ecco il cammino di Bilbo, di Thorin e di Gandalf, ecco il viaggio inaspettato del giovane hobbit della Contea.
E allora signori, che il viaggio abbia inizio!
Scheda tecnica del film
Titolo originale: The Hobbit – An Unexpected Journey
Titolo italiano: Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato
Paese: USA, NZ, UK
Anno: 2012
Regia: Peter Jackson
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Andy Serkis, Cate Blanchett, Hugo Weaving, Christopher Lee, Ian Holm, Elija Wood, Sylvester McCoy.
Durata: 165 min.