Testi: Alan Moore
Disegni: Stephen Bisette
Edizione originale: Swamp Thing #20-34, Annual #2
Edizione italiana: Volume cartonato (1 di 3), Planeta DeAgostini, 35 euro.

Se non amassi Sandman alla follia, direi proprio che Swamp Thing è diventato il mio fumetto preferito, e forse lo diventerà davvero dopo che avrò letto i restanti due tomi in uscita quest’anno. Esprimere a parole la bellezza di quest’opera è impossibile, e inoltre si rovinerebbe agli appassionati il piacere di scoprire cosa sia riuscito a creare nel corso di questa lunga gestione il Bardo di Northampton, Alan Moore.
Il primo numero è in realtà un episodio ideato per chiudere le sottotrame precedenti, e l’albo successivo (Il celeberrimo Lezioni di Anatomia) è lo starting point ideale per ciò che Alan Moore desiderava scrivere sul personaggio, con un finale stupefacente che svela al pubblico le origini della “Cosa delle Paludi“. Proprio questa scioccante rivelazione sarà uno dei fili conduttori del nucleo centrale della storia.
Per mostrare l’ascesa di Swamp Thing al ruolo di elementare della terra e protettore della natura, viene utilizzato qui un villain DC di secondo piano, l’Uomo Floronico, nemico che metterà a serio rischio l’esistenza stessa dell’umanità dopo essere diventato il pericoloso tramite della rabbia della Natura: Swamp Thing è costretto così ad intervenire, mostrando la sconvolgente verità tramite una delle tavole più suggestive che abbia mai visto.

Il ciclo che inizia subito dopo invece ha lo scopo di espandere l’universo di Swamp, mostrandoci il rapporto d’amicizia in costante evoluzione con la bellissima Abigail Cable, nipote del suo arcinemico. Dopo un idilliaco inizio le cose iniziano a peggiorare, e il ciclo si trasforma in un angosciante racconto horror che coivolge bambini affetti da problemi mentali, una mostruosa creatura in grado di far materializzare le paure più profonde insite in ognugno di noi, un noto demone rimatore dell’Inferno (Etrigan), con l’aggiunta di piccoli dettagli che inizialmente sembrano di poco conto, ma che verranno poi ripresi in seguito.
Dopo questo ciclo preparatorio Alan Moore utilizza un numero per esorcizzare i “demoni” personali del personaggio: leggendo il numero infatti, si capisce chiaramente che il titolo Sepoltura ha diverse valenze, oltre alla tumulazione vera e propria che la creatura vuole concedere alle sue spoglie umane. Questo bisogno porta Swamp e il lettore nel passato, ricordando come tutto ebbe inizio, in quello che possiamo definire un sentito omaggio al primo episodio della serie di Len Wein (creatore del personaggio), raccontato tramite una bellissima sequenza che definirei meta narrativa, dove l’attuale Swamp Thing incontra quello origini.
L’episodio si chiude quindi con uno Bon Gumbo finalmente in pace con i suoi demoni personali, superando l’inquietudine che si era trascinata per molti capitoli. La saga successiva è forse quella più importante e particolare dell volume: tutte le tessere del puzzle disseminate nei precedenti capitoli convergono, e finalmente si possono comprendere parole e comportamenti di alcuni personaggi che fino a quel momento potevano risultare inspiegabili.
Evito di dilungarmi troppo sulla trama dato che è bello gustarsela pagina per pagina in attesa di innumerevoli sorprese, anche perché culminerà con un cliffhanger studiato alla perfezione da Alan Moore.

Proprio questo cliffhanger è alla base dell’episodio Giù in mezzo ai morti: pur essendo davvero prevedibile la scelta di Moore di ambientare questo racconto all’Inferno, l’autore ci conquista grazie al suo stile favoloso, e questo folle tour si rivela popolato da creature di ogni sorta e da guest star di tutto rispetto. L’episodio come al solito è davvro bellissimo e riserverà per una volta un finale felice.
Il capitolo successivo è un fill in che inizialmente lascia a bocca aperta per l’evidentissimo cambio di registro, linguaggio e di disegno: protagonisti del numero sono un piccolo e buffo gruppo di esploratori spaziali alla ricerca di una nuova casa. Si può benissimo considerare questo episodio come un gioiellino della nona arte grazie alla genialità di Moore nell’utilizzare un registro e un linguaggio senza senso, con unioni di parole, stravaganti associazioni, verbi inventati.
Il penultimo numero di questo primo volume è un omaggio invece ad altre due testate horror, House of Mistery House of Secrets. Protagonista di questo episodio è Abigail, la quale ripresasi dagli eventi devastanti di qualche numero prima, durante un sogno, si ritrova al cospetto di Caino e Abele e delle loro rispettive case. Abigail sceglierà di dare ascolto ovviamente ad Abele per scoprire un mistero che riguarderà la sua vita.
La scoperta di tutto ciò avviene tramite il racconto di una storia ambientata agli inizi del ‘900: questa rivelazione sarà al centro di tutta la gestione, e il suo valore è paragonabile all’importante colpo di scena di Lezione di Anatomia, ovvero un tassello veramente importante per la mitologia di Swamp Thing.
Finalmente si arriva all’episodio di chiusura di questo primo volume e al mio preferito in assoluto di questa parte della gestione Moore, ovvero “Il Rito della Primavera”. Questo albo viene descritto perfettamente da una definizione scelta dall’ottimo Neil Gaiman nel suo articolo in appendice al volume, ovvero una “canzone d’amore psichedelica”.
La storia racconta l’estatica consumazione di un rapporto d’amore psicofisico tra Swamp e la sua amata. Quello che ovviamente più colpisce è la prosa usata da Moore per questo episodio, paragonabile a un bellissimo poema d’amore.
La bellezza di questo episodio è data anche dalla geniale regia della tavole, che si adattano perfettamente alle sensazioni che l’autore ci trasmettere relativamente a ciò che sta accadendo.

La prosa usata da Moore è favolosa, dotta e al tempo stesso aperta a più interpretazioni, ricca di originalità, commovente quanto basta e perfettamente adatta a realizzare molteplici commistioni tra generi narrativi diversi (basta prendere gli episodi “Pog” e “Il rito della primavera”).
Solo ora arriviamo ai disegni e me ne scuso: le tavola dell’accoppiata Bisette e Totleben si adattano in maniera più che perfetta alla prosa di Moore, confermandosi spesso uno dei motivi della riuscita così splendida di questa run, grazie alle sapienti inquadrature e all’originale disposizione della tavole, una vera e propria gioia per gli occhi.
Le colorazioni di Tatjana Wood valorizzano ancora di più i disegni già belli in bianco e nero: per molti lettori i colori rovivano l’opera, ma in alcune tavole sono proprio loro invece ad alzare il livello dell’esperienza visiva.
In conclusione si può dire che l’edizione Planeta è molto ben fatta. A livello di lettering si notano un paio di errori sparsi qua e là nei capitoli che vengono seppelliti però dalla prosa meravigliosa di Moore. C’è qualche imprecisione negli articoli di introduzione e appendice, comunque niente che infici più di tanto il godimento di questi albi sublimi.