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Per Dio Logan, ho sempre desiderato mettermi nei tuoi panni… ma ora non lo farei neanche se mi pagassi!

Wolverine è dappertutto. Chi è abituato a leggere fumetti Marvel, oggi come oggi se lo ritrova in una cover sì e l’altra pure. Negli ultimi anni c’è stata una sovraesposizione del personaggio che lo ha portato ad essere “giocattolabile”, alla mercé di tutti gli scrittori che ne hanno fatto la maggior parte delle volte una specie di Wile E. Coyote di turno a cui capita di tutto.

Ma Wolverine non è questo, gente.

Certo, c’era da aspettarselo. Solitamente, il “bullo” del gruppo è quello che più salta all’occhio, quello che suscita antipatie che poi si trasformano in assolute simpatie. Da buzzurro ad anima degli X-Men. Da anima degli X-Men a portabandiera della Marvel assieme a Spider-Man. Chi se lo aspettava? Di certo, deve il suo successo a Chris Claremont e John Byrne, che iniziarono ad approfondire e scavare sul personaggio: da mutante burbero e rude con tutti, a mutante solitario e malinconico, con un passato alle spalle. L’assoluta consacrazione avverrà qualche anno dopo con la miniserie Wolverine di Claremont e Frank Miller, una storia di amore, onore e sacrificio. Da lì a qualche anno dopo, sarebbe partita la serie regolare che lo avrebbe definitivamente lanciato.

ImmaginePiù passavano gli anni però, e più gli X-Men gli stavano stretti: iniziava ad apparire sempre più spesso accanto ad altri personaggi che non erano mutanti; ma sarà soltanto nel 2000 – con il film dedicato a Wolv… ehm, agli X-Men – che il personaggio sarebbe uscito prepotentemente dalle pagine del fumetto per diventare una star assoluta con il volto di Hugh Jackman. Sì, c’erano stati in precedenza il cartoon e tutto il merchandising legato al personaggio, ma il film gli diede una fama ed una notorietà che prima di allora i lettori si sognavano. Per non parlare poi delle sue origini finalmente svelate, nell’ottima miniserie Wolverine Origin di Paul Jenkins e Andy Kubert.

Da qui in poi, apparizioni a pioggia su tutte le testate Marvel: oltre ad essere presente sulla sua serie regolare (che poi diventarono tre, oggi scalate a due), compariva su tre testate degli X-Men (oggi quattro), nei New Avengers di Brian M. Bendis (adesso nelle due serie vendicative che scrive l’autore), più comparsate a non finire di qua e di là. E la credibilità del personaggio? Quella è andata a farsi benedire, ed era pure logico. Comparire in un solo mese su di un botto di albi, beh… la natura stessa del personaggio ne risentiva e ne risente tuttora non poco. Si cade così nell’errore di tendere ad estremizzare solo alcuni tratti caratteriali, perdendo di vista gli altri: per lo scrittore di turno sarà facile scrivere quello che viene più “comodo”, ossia di un tizio dal fattore rigenerante che guarisce dalla qualsiasi, pretesto utilizzato per farlo guarire dalle ferite più assurde.

Il solitario (see, una volta) Logan ha avuto una lunghissima vita piena di avventure alle spalle: killer, samurai, vagabondo, guercio, spia, soldato, x-man, vendicatore… com’è possibile convivere con tutte queste anime? Può un personaggio essere tutte queste cose insieme, e rimanere ancora integro? La risposta è assolutamente sì. Ma con la troppa esposizione del personaggio, si è perso di vista il personaggio stesso: la sua stessa serie regolare era diventata una sequela di episodi autoconclusivi, e no, per favore non citatemi la mediocre Wolverine: Origins di Daniel Way.

Quello che aspettavo io, quindi, era – non dico in tutte le altre serie dove appariva e appare, perché capisco le esigenze commerciali –  che almeno la sua serie regolare seguisse un suo ben preciso percorso, avesse una sua continuity interna, per essere sicuri così di trovare “Wolverine” nella serie di Wolverine. Una semplice storia di 22 pagine mi confermò che forse era arrivato l’uomo giusto.

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Mettiti nei miei panni (A mile in my mocassines) è una storia di Jason Aaron e Adam Kubert pubblicata in originale sui numeri 73 e 74 di Wolverine e in Italia sul 239 del mensile omonimo, che con quel preciso numero festeggiava i vent’anni di vita editoriale della serie. La storia è molto semplice e si divide in due parti. Nella prima, vediamo come Logan passa le giornate: un giorno con gli X-Men, l’altro con X-Force, poi New Avengers, e team-up come se piovesse con Spider-Man, Thor, Deadpool, Punisher ecc. La prima parte si conclude con Logan nel letto con Yukio (dopo un’avventura con lei, ovvio), con quest’ultima che, preoccupata per l’amico, gli dice che tutto questo non fermarsi mai un momento, possa essere indice di una sorta di esaurimento nervoso.

Ovviamente geniale. Aaron aveva centrato il bersaglio, perché aveva messo su carta l’ubiquità di Wolverine, e ne avrebbe dato pure una logica motivazione nella seconda parte della storia, dove, in una non facile confessione con Spider-Man, Logan riesce a confidargli tutto il suo malessere, dovuto alla memoria rinvenuta dopo i fatti di House of M. Per cercare di bloccare il flusso emotivo dovuto a ricordi non proprio felici, Logan preferisce infatti tenersi “impegnato”, non solo per espiare i peccati, ma proprio per non pensare a quanto di male ha fatto nella sua vita. La bravura di Aaron, sta quindi nell’aver dato credibilità alla sovraesposizione – divenuta problematica – del personaggio di Wolverine. E sono bastate solo 22 pagine. Non solo, ad Aaron riesce pure facile far “parlare” Wolverine, il suo Logan è quello “giusto”, insomma. Se poi aggiungiamo che questa storia vede i disegni di quel geniaccio della tavola che è Adam Kubert, ossia il miglior disegnatore di Logan, beh, il gioco è fatto.

ImmagineMa chiaramente non basta una sola (stupenda) storia per realizzare che sia arrivato lo scrittore giusto per Logan. Aaron infatti, ci aveva già deliziato con il breve ciclo Get Mystique, dove in coppia con Ron Garney confessava il suo amore non solo per Logan ma anche per la bella e machiavellica Mystique, personaggio che più avanti avrebbe ripreso nella serie Wolverine: Weapon-X, conclusasi di recente con il #16. In questa serie Aaron ha rispolverato vecchie amicizie di Logan come Maverick, gli ha dato un nuovo amore e nuovi villain: i numeri che più gli sono riusciti sono il #10 e il numero finale della serie, ossia proprio quelli più intimisti.

Ma non disperate gente, la chiusura della serie non ha portato Aaron ad allontanarsi dal personaggio, anzi. È stata la lanciata una nuova serie dal semplice titolo Wolverine, sempre con l’ottimo Aaron ai testi e con Renato Guedes ai disegni. Finora sono usciti solo due numeri: ci siamo gente, ci siamo davvero. Perché quando uno scrittore si ricorda in modo sapiente di certi personaggi legati a Logan, che non siano per forza gli X-Men o gli Avengers, vuol dire che siamo proprio sulla buona strada.

Peccato invece che in Italia la miniserie Wolverine: Manifest Destiny sia rimasta inedita: era proprio una bella storia, piena di azione, kung fu e sentimento.

Potrei pure parlarvi di come Aaron sia riuscito a rendere credibile il rapporto di due personaggi come Logan e Peter Parker, che in comune non hanno praticamente nulla, ma lo farò in uno dei prossimi appuntamenti.

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