Young Liars

Mag 2, 2011

Young Liars TP

 

Testi e disegni: David Lapham
Edizione italiana: volume unico brossurato, 16,8×25,7 cm, pp. 432, Planeta De Agostini, € 32
Edizione originale: Young Liars TP 1-2-3, DC Comics/Vertigo

Non è facile parlare di questo fumetto, proprio per nulla; innanzitutto perché si tratta di un frullato pop-glam-punk dentro cui David Lapham mette tante di quelle cose che elencarle tutte sarebbe impossibile; e soprattutto perché ad una prima lettura non sono stato in grado di cogliere tutto, in particolar modo il finale. Chiudere il volume mi ha fatto lo stesso effetto che mi fece l’ultimare la lettura degli Invisibles di Grant Morrison, con la differenza che all’epoca ero vecchio e stupido, cocciuto e convinto che le cose non avessero senso, quando non ero io in grado di coglierlo. Oggi grazie a Dio sono diventato giovane e testardo, ho smesso di arrendermi davanti alle cose più complesse e soprattutto sono in grado di capire la differenza fra i limiti comunicativi di uno scrittore e quelli miei di lettore.

Intanto sappiate che in questo fumetto non c’è nulla della classica Vertigo cui probabilmente siete abituati: avete presente quei fumetti anni ’80 molto inglesi e malinconici, riflessivi e “letterari”, dalla prosa forbita e ricercata? Quella Vertigo celebrata/sbeffeggiata da Warren Ellis in uno dei più bei numeri di Planetary? Ecco, scordatevela, perché qui di inglese non c’è assolutamente nulla, niente che in un qualche modo possa anche solo vagamente ricordare l’umorismo surreale e il gusto dell’assurdo tipico dei Monthy Python (punto di riferimento culturale per molti degli autori che fondarono l’etichetta di Sandman, da Alan Moore a Grant Morrison). E sì che qui di umorismo e assurdità ce ne sono a bizzeffe, più di quante il vostro cervello ne riuscirà a contenere; ma è tutto profondamente americano, intriso di quell’atmosfera che aveva il cinema yankee negli anni ’90, quelli di Oliver Stone e del post-modernismo nato conNatural Born Killers, poi proseguito con le opere di Tarantino e infiltratosi capillarmente in tutto il cinema di quel periodo (qualcuno si ricorda Doom Generation di Greg Araki?).
Questa di Young Liars è, al pari di quella mostrata da Stone, un’America perversa e violenta, marcia e corrotta quasi per natura, così delirante da diventare surreale, rappresentabile con un treno che corre follemente in attesa di deragliare alla prima curva, per godersi in pieno l’incidente. Ed è un’America così matta che il protagonista, man mano che la storia muta e si aggroviglia su se stessa, può essere di volta in volta una rock star punk, il commesso di un negozio di ferramenta, l’erede di un impero stellare composto da ragni marziani, oppure ancora il clown di un circo: non cambierà mai nulla, il suo destino sarà sempre lo stesso.
Prima citavo non a caso Invisibles, cui corre la memoria man mano che ci si addentra nella lettura dell’opera di Lapham: ad un certo punto sembra quasi di assistere al secondo atto di quei guerriglieri metropolitani della controcultura, con tutta probabilità citati esplicitamente nella figura del travestito sovrappeso (chi ha letto la serie di Morrison sino alla fine, sa di cosa sto parlando). Ma come dicevo, Lapham è quintessenzialmente yankee in ogni aspetto del racconto, anche nel modo in cui irride la corrente democratica cui sembra appartenere.

E’ un mondo cattivo questo, Sailor, senza pietà, che nasconde dentro di sé un cuore selvaggio!

Questa battuta, pronunciata da Laura Dern nel film Cuore Selvaggio di David Lynch, si sposa perfettamente con ciò che l’autore diYoung Liars cerca di dirci attraverso il fumetto, esprimendolo con uno stile che in effetti deve un po’ anche al film proto-pulp che Lynch diresse nel 1990, vero progenitore di tanto cinema americano di quel decennio.
Un mondo cattivo, già, senza pietà. Esattamente quello che ci meritiamo.