Testi: Alan Moore
Disegni: Stephen Bisette, John Totleben, Shaw McManus
Edizione originale: Swamp Thing #20-34, Annual #2
Edizione italiana: Volume cartonato (1 di 3), Planeta DeAgostini, 35 euro.

ALLA DISPERATA RICERCA DELLA PROPRIA UMANITA’

Moore stravolge il gioco fin dal suo primo numero (in realtà dal secondo, il numero 21, visto che l’episodio precedente, sempre scritto da Moore, servì allo scrittore per fare piazza pulita delle precedenti trame e poter ripartire da capo, libero di ogni vincolo narrativo di sorta), rivelandoci che ST non è il morituro Alec Holland mutato in una cosa della palude grazie ad una formula biorigeneratrice vegetale, ma piuttosto un vegetale che grazie al suddetto composto ha assorbita la coscienza del deceduto Holland. L’intelligente ribaltamento di prospettiva operato da Moore va ad indagare il concetto umanità, in una vera e propria “Lezione di anatomia”, scevra da fredde considerazioni biologiche, per immergersi piuttosto negli abissi del senso di sé e della coscienza. Una nuova definizione di “Vita”  che rappresenta per ST l’inizio di un’evoluzione attraverso tre fasi.

“Io sono…la cosa della palude”

Il primo volume verte infatti sul venire a patti con questa nuova consapevolezza di sé e come questa produce un nuovo ruolo nel cosmo DC per il protagonista inizialmente ancora ancorato al canonico  universo fumettistico per ambientazioni e tematiche: nonostante l’approfondito contrasto ideologico e morale, con risvolti ecologici, fra ST e Woodrue è evidente come Moore in questi primi numeri cerchi di non spaventare il lettore, rifugiandosi nel classico topos narrativo eroe/criminale, e concedendo una breve ma rassicurante apparizione della JLA che lo scrittore non esita però a demitizzare dimostrandone l’inutilità in una crisi come quella presentata in questi episodi. Moore inizia qui ad affinare la sua raffinata prosa, ben più elaborata della media allora come oggi, ricca di ardite metafore e contorsioni grammaticali al limite della poesia, attraverso la quale ci narra un’epopea dai toni assai più vicini ad un horror della EC che al comic mainstream. È qui infatti che nasce l’embrione della Vertigo, l’etichetta “for mature readers della DC”, tant’è che la sua prima ristampa USA, “The saga of the swamp thing”, verrà ripubblicata sotto questa divisione in una sorta di  inserimento retroattivo che sa tanto di laurea ad honorem.

Paura, orrore e morte

Sempre di orrore soprannaturale e senso di paura è impregnato il successivo arc “Il sonno della ragione” con la partecipazione di Jason Blood/Etrigan, duale personaggio creato da Jack Kirby che Moore erge al ruolo di demone rimatore, facendo parlare la creatura in versi (in originale pentametri giambici) elevando ancora di più l’erudito lessico della serie. Il titolo riprende naturalmente il celebre dipinto di Goya “Il sonno della ragione genera mostri” che ben si raccorda alla trama che vede la soprannaturale entità Kamara, il re delle scimmie, nutrirsi della paura che scaturisce dall’ignoranza e dai propri tormenti, muovendosi lungo i corridoi di un centro per bambini autistici.

Da qui in poi Moore decide di iniziare ad abbandonare i classici topoi narrativi e le regole fisse di un comic book mainstream, liberandosi di tutte quelle ingenuità e semplificazioni che avevano albergato in questi suoi primi episodi. Swamp Thing non sarà più l’eroe buono che si scontra numero dopo numero con il villain di turno, ma piuttosto un avatar dello stesso Moore e del lettore in un tour attraverso l’animo umano. È d’obbligo quindi mettere la parola fine al vecchio passato di Swamp Thing e Moore lo seppellisce per sempre nell’episodio intitolato appropriatamente “La sepoltura”, storia che narra lo struggente incontro onirico fra la cosa della palude e lo spirito tormentato di Alec Holland. L’episodio è disegnato da Shaw McManus, efficace e veloce disegnatore corso in aiuto della coppia Totleben/Bissette, oberata dal lavoro extra richiesto dal successivo arc narrativo che occupa i tre numeri successivi del mensile più un annual (il secondo) oversize.

Arriviamo quindi ad “Amore e Morte”, una vera e propria abbuffata di orrore  e disgusto tant’è che gli albi uscirono senza l’approvazione del Comics Code Authority, segnando quindi un’importante tappa burocratica, dopo quella significante sullo stile, per la successiva Vertigo. Anche in questa story line Moore ripropone il classico schema eroe buono/ST contro antagonista malvagio, recuperando per questo ruolo il villain principale della serie prima dell’arrivo di Moore, quell’Anthon Arcane, zio della bella e pallida Abigail che in questi primi episodi recita la parte della donzella in pericolo, ma gli approfondimenti psicologici sui personaggi e l’elevato senso del drama riescono a mettere in secondo piano queste ultime ingenuità.

Particolarmente degno di nota è ST annual 2 con i suoi espliciti riferimenti alla Divina Commedia, nel quale Swamp Thing visita i regni dell’aldilà per recuperare l’anima di Abigail, ingiustamente scagliata all’inferno e nel suo pellegrinaggio è assistito da tre accompagnatori d’eccezione: Deadman/Boston Brand per il regno dei morti recenti, lo Straniero Fantasma per il reame del Paradiso e l’Inferno ad Etrigan. Il terzetto non è utilizzato solo in guisa di comparsata perchè con la sua solita maestria Moore riesce ad elevare i personaggi ben oltre il loro ruolo di spalla e gettarne i semi per una nuova giovinezza narrativa: è il caso appunto dello Straniero, per il quale fra le righe si accenna alla possibilità che possa trattarsi di un angello condannato a vagare in eterno senza sosta per non aver scelto una fazione nella biblica guerra dei cieli che porterà alla caduta di Lucifero.

Successivamente si hanno altri due fill in che Moore scrive per far prendere respiro ai bravissimi ma lentissimi Totleben e Bissette.

Eccezionali fill-in
Nel primo, “Pog”, disegnato dal fidato tappabuchi McManus, Moore ritorna alle tematiche ecologiste utilizzando come avatar un gruppo di esuli alieni animorfi alla ricerca di una nuova “verde signora” dopo che la loro era stata violentata da “l’essere più solo di tutti”. Una storia amara, in bilico fra speranza e disillusione, con la quale Moore omaggia sia il fumettista Walt Kelly (con il suo Pogo, richiamato esplicitamente nel titolo ma anche nell’appeal “pupazzesco” degli alieni) che Lewis Carrol, infarcendo l’episodio con una gran varietà di neologismi alieni sulla falsariga dei portmanteux di Carrol.

Con il secondo, “Case desolate”, Moore recupera alla sua solita maniera due vecchi personaggi horror, i biblici fratelli Caino ed Abele, custodi rispettivamente delle Case del Mistero e dei Segreti, situate al limitare fra in sogno e la veglia. L’episodio ha una duplice funzione: in primis è un omaggio ai vecchi fumetti horror come le già citate “House of Mistery” ed “House of Secrets”  sul quale apparve per la prima volta l’originale ST, storia rinarrata per l’occasione; in secondo luogo rappresenta, proprio con la duplicità di conntinuty del personaggio, il primo passo di Moore di elevare ST al ruolo di elementale della terra  ed inserirlo in un “grande disegno” che terrà banco per tutto il secondo volume. Al solito i recuperi di Moore non sono mai fine a se stessi ma funzionali alla storia ed oltretutto non si esauriscono con essa, tant’è che nei primi episodi di Sandman Neil Gaiman recupererà Caino ed Abele secondo l’interpretazione di questi episodi, testimonianza della ricchezza narrativa che Moore riesce a donare anche ai personaggi di contorno.

“Come potresti amarmi?” “Profondamente…in silenzio…per molti anni”.

Il primo tomo si chiude con “Il rito della Primavera”, altro schiaffo in faccia per il CCA visti gli espliciti riferimenti sessuali e psichedelici che caratterizzano tutto l’albo. Negli episodi precedenti si è visto come in più occasioni ST sia corso al salvataggio di Abigail come un prode cavalier servente, superando addirittura la prova suprema di strapparla dall’abbraccio della morte, inequivocabile segno di quali siano i sentimenti della cosa della palude per la ragazza. Allo stesso modo abbiamo visto come Abigail abbia sempre preferito rifugiarsi nella palude sfuggendo ad un rapporto ormai logoro con il marito.

Il sentimento covava quindi fin dall’inizio della gestione Moore e dopo l’estremo atto d’amore al quale abbiamo assitito nell’annual non può che essere portato alle sue conseguenze finali, e l’amore fra i due protagonisti principali è libero infine di sbocciare così come i fiori e la natura tutta attorno ai due per opera della primavera che dà il titolo all’episodio. E’ un punto di svolta lento ed impacciato, caratterizzato da un paura ed una timidezza tipicamente adolescenziale e non a torto visto che i due personaggi stanno vivendo de facto una nuova giovinezza dopo i tragici eventi che li hanno portati a riconsiderare da capo la propria vita.

Dalla dichiarazione di amore si arriva alla suggellazione dello stesso e l’evidente ostacolo fisico fra i due viene superato con un’esperienza di comunione  che fonde anima e corpo, vegetale ed umano, in un amore vegetale che echeggia le selvagge e passionali immagini de “La pioggia nel pineto” di Gabriele D’annunzio, il tutto filtrato attraverso sprazzi di quella cultura new age tanto in voga in USA negli anni 80. La prosa di Moore si inerpica sui sentieri del barocco più spinto, in un’orgia di similitudini ricercate che si inseguono uno dopo l’altra, in un flusso continuo che ben si presta a descrivere la frenesia di quell’amplesso  psichedelico nel quale i protagonisti, e tutta la palude attorno, vengono rivoltati come un guanto fino a svelare la loro anima più pura nel complesso intrecciarsi di tutto il creato, sulla scia degli insegnamenti buddisti o, se vogliamo, in una citazione dell’ordine implicito di Dave Bhom (poi ripreso da Grant Morrison come sostrato di base per la sua trama metanarrativa in Animal Man). Anche il certosino duo artistico Bissete/Totleben spinge il piede sull’acceleratore realizzando tavole eccezionalmente particolareggiate e dal complesso storytelling in una disposizione di vignette senza soluzione di continuità, a spirale e ribaltate, che costringono il lettore a rivoltarsi completamente l’albo fra le mani, in una sorta di partecipazione metanarrativa all’esperienza sessuale di Abbie e ST.

IN CONCLUSIONE

Dal punto di vista di significato “Il Rito della Primavera” risulta il primo punto di arrivo importante per il personaggio perchè ne esalta la natura ben più che umana, sicuramente vegetale ma anche ben al di là del mondo materiale, cioè quell’aspetto sprituale, o meglio elementale che sarà infatti il cardine del secondo volume. In questo volume invece si consuma il superamento dell’Uomo (in realtà mai stato uomo) in Superuomo o più precisamente, nella traduzione corretta del termine introdotto da Nietzche, Oltre-Uomo. D’altra parte c’è da sottolineare come il “Rito” rappresenti, in maniera diametralmente opposta, una fortissima dichiarazione di umanità da parte di ST, che si esplica in un sentimento umano come l’amore, oltretutto condiviso con una donna. Ecco quindi che Moore prova a dare le prime risposte a domande quali “chi sono?” e  “da cosa dipende il mio essere?”, operando un’attenta e travagliata analisi sui concetti di umanità ed identità. E tanto per Swamp Thing, quanto per il lettore, il primo passo di questo importante percorso di crescita è stato compiuto: adesso non resta che proseguire, un passo dopo l’altro.

(Continua…)

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