Testi: Bill Willingham
Disegni: Marc Buckingham, Lan Medina
Edizione Originale: Fables, Legends in Exile (Fables 1-5 + A Wolf in the Fold), Fables, Animal Farm (Fables 6-10)
Edizione Italiana: Fables: Fiabe in Esilio, Planeta De Agostini (volume unico contenente Fables 1-10 + A Wolf in the Fold) o  Fables: Fiabe in Esilio e Fables: La Fattoria degli Animali, Magic Press.

Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?

– William Shakespeare

Introduzione

Che Bill Willingham sia tributario dell’immaginifico genio di Neil Gaiman, sarebbe inutile negarlo. Entrambi attingono al mondo dell’onirico, dando sostanza e forma alla materia dei nostri sogni. Sogno, il protagonista di Sandman, è l’incarnazione antropomorfa dei sogni e delle storie degli uomini. Nel suo universo, Gaiman lascia che le divinità interagiscano con gli uomini ma senza mai perdere la loro aura di trascendente superiorità; nondimeno, esse nascono e persistono in funzione all’adorazione e alla fede di chi crede nella loro esistenza.
In un contesto del genere, gli Eterni assumono la valenza iconica di contenitori e rappresentanti delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni umane, che costituiscono nutrimento infinito per immortali divinità.
Willingham riprende questo concetto molto alla larga: i suoi protagonisti sono sì anch’essi delle Fiabe e delle Storie umane, e divengono tanto più longevi e forti quanto più gli uomini continuano a tramandare le loro storie, ma delle emozioni umane non sono i rappresentanti, né le archetipiche incarnazioni; i protagonisti di quest’opera sono infatti le Fiabe stesse.

Storia

Il concept alla base della storia è semplice quanto geniale: le Fiabe che tutti noi abbiamo ascoltato da bambini, di Cappuccetto Rosso, ai Tre Porcellini, a Biancaneve, a Riccioli D’Oro, etc, sono reali. Vivono da secoli su un altro piano dell’esistenza, da esse chiamato le Terre Natie, ma molto poco hanno interagito fra loro nel corso delle loro lunghissime esistenze, rinchiusi e felici nel fazzoletto di terra che da sempre ha fatto da contorno alla particolare Storia di ognuno di loro.
Poi fu la Guerra.
Eserciti di mostri guidati da un nemico invisibile costrinsero le Fiabe a scegliere fra l’esilio nel nostro mondo o la schiavitù nel loro.

La confezione editoriale

Fables, serializzata mensilmente dal 2002 sotto l’etichetta Vertigo e arrivata in America all’uscita numero 89, è stata edita in Italia in comodi TP (Trade Paperback) che riprendono le raccolte originali, basate sui differenti story-arc della serie. Alla storia portante si aggiungono poi la serie spin-off Jack of Fables, il volume Le 1001 notti di neve, una sorta di prequel alla storia principale, e l’annunciata nuova serie dedicata al personaggio di Cenerentola.
I primi due story-arc sono stati editi in due TP dalla casa editrice Magic Press ma, recentemente, Planeta De Agostini, come nuova licenziataria dei diritti DC in Italia, ha ristampato i primi due arc all’interno di un volume unico dal titolo Fiabe in esilio (che propriamente sarebbe il titolo del primo arc). Vediamo, con l’ausilio di wikipedia, di fornire un breve specchio riepilogativo:

1. Fiabe in esilio (Magic Press)
2. La fattoria degli animali (Magic Press, raccolto e pubblicato dalla Planeta DeAgostini insieme al primo in un unico volume dal nome Fiabe in esilio)
3. Un amore da favola (Planeta DeAgostini)
4. La marcia dei soldatini di legno (Planeta DeAgostini)
5. Stagioni difficili (Planeta DeAgostini)
6. Terre natie (Planeta DeAgostini)
7. Fiabe d’Arabia (Planeta DeAgostini)
8. Lupi (Planeta DeAgostini)
9. Figli dell’Impero (Planeta DeAgostini)
10. Il buon principe (Planeta DeAgostini)
11. La guerra dei mille mondi (Planeta DeAgostini)

Fables: le 1001 notti di neve

Jack of Fables:

1. La quasi grande fuga
2. Jack di cuori
3. Il cattivo principe
4. Americana

L’edizione Planeta De Agostini ha dalla sua l’ottima traduzione di Leonardo Rizzi, e un rapporto pagine-prezzo decisamente abbordabile per chi voglia cimentarsi nel recupero di questa serie.
Alcune scelte di adattamento, come quella di adattare il nome di Bigby (acronimo e diminutivo di Big Bad) Wolf a Luca (Lupo Cattivo) Wolf, risultano totalmente vincenti, come pure l’idea di utilizzare per le brevi descrizioni dei capitoli un linguaggio fiabesco e caricaturale.
Fra l’altro, sempre da wikipedia apprendiamo che:

“Lucus secondo l’etimologia che ne da Varrone è il luogo del bosco ove non c’è luce (lucus a non lucendo), mentre studi successivi indicherebbero che è la radura illuminata da una luce fioca ove si compivano i sacrifici. In definitiva, lucus indicherebbe una zona del bosco totalmente o parzialmente non illuminata.”

Il che rende ancora più suggestiva e azzeccata la scelta del nome “Luca” per uno dei personaggi principali. Planeta paga tuttavia ancora ad oggi una scarsa attenzione per il lettering, che risulta errato non soltanto nella trascrizione di diversi vocaboli, ma anche e soprattutto nella sillabazione delle parole, la quale si traduce spesso nella messa a capo completamente sballata di parecchie frasi.
Per quanto concerne la confezione della storia in sé, Willingham e i disegnatori Medina e Buckingham confermano un lavoro straordinario nell’accuratezza con cui l’ambientazione favolistica viene continuamente costruita, decostruita e riproposta; una tecnica questa che fa parte del bagaglio professionale e culturale di chi del Fumetto è un vero maestro: si pensi ad esempio all’impaginazione delle vignette, alle continue decorazioni e arabeschi, alle simmetrie e ai giochi grafici cui la pagina viene sottoposta.
Buckingham e Medina, seppur l’apporto di quest’ultimo alla serie è stato minore, pur nella loro diversità, hanno poi saputo farsi interpreti della grande tradizione fumettistica kirbyana, elaborando uno stile efficace, pulito, semplice ma non privo di una straordinaria potenza espressiva.

Fiabe in esilio

Da secoli le Favole vivono fra noi, camuffate secondo i nostri usi e costumi, nascoste agli occhi indiscreti dei Terreni (il nome con cui le Fiabe chiamano noi umani) nel modo più efficace possibile: quello plateale. Favolandia non è infatti altro che un agglomerato urbano all’interno della città di New York, del tutto identico a un normalissimo quartiere, popolato da persone normalissime che si amano, si sposano, si tradiscono, lavorano. E uccidono.
Ed è proprio un presunto assassinio l’incipit della nostra storia, laddove Biancaneve, vicesindaco della comunità delle Fiabe, incarica il cinico Lupo Cattivo, nominato sceriffo per la sua “conoscenza delle cose del mondo”, di far luce sull’efferata vicenda.
Con uno stile che coniuga il gusto della narrazione antica all’uso delle tecniche della sceneggiatura moderna, Willingham ci catapulta in un mondo fiabesco che è più umano del reale, e dove tuttavia le Fiabe, decostruite attraverso la sordida descrizione delle loro debolezze e vanità, sanno reinventarsi a nuovi miti e a nuove iconicità. Scopo dell’opera è infatti, per ammessa convinzione dell’autore, quello di insegnare e trasmettere dei valori. Ecco quindi che l’imbelle e fragile Biancaneve diviene un sindaco dal polso di ferro e dalle spiccate capacità manageriali, ecco che il sanguinario Lupo diviene uno sceriffo dalla sensibilità spiccata quanto le sue abilità deduttive, ecco che lo scanzonato scansafatiche Jack diviene un uomo di multiforme ingegno capace di trarre vantaggio anche dalle circostanze apparentemente più insignificanti.
Attraverso le disavventure delle Fiabe il lettore comprende che nemmeno i nostri difetti più grandi possono costituire un alibi per sminuire noi stessi e non avere fiducia nelle reali nostre potenzialità, per quanto celate o latenti esse siano.
Comincia inoltre ad affiorare in questo arc il pensiero politico di Favolandia (che non ci è dato sapere se corrisponde a quello dell’autore, ma se volete il personale parere di chi scrive la risposta è sì), che verrà poi approfondito all’interno de La Fattoria degli Animali: è un pensiero politico destrorso, ma socialmente indirizzato, padronale, riconosce la giustizia nell’eccezionalità e nell’equità di chi gestisce il potere più che in commissioni plurali ed elette. E’ una giustizia che si caratterizza come esclusivo appannaggio della Signoria, pertanto è ovviamente e dichiaratamente parziale, tuttavia si dimostra capace di svincolarsi dal mero diritto per ricercare qualcosa che al diritto è addirittura superiore: l’equità e il buon senso.

La Fattoria degli Animali

L’adattamento fumettistico dello straordinario romanzo omonimo di George Orwell, del 1947. Le Fiabe esiliate dalle Terre Natie si sono divise in due comunità: Favolandia e La Fattoria. Il tutto succede per sin troppo ovvie ragioni, giacchè Fiabe umane e Fiabe animali non sarebbero potute coesistere all’interno di New York. Il Lupo però, un tempo terrore degli animali delle favole, è stato bandito a vita dalla Fattoria e sarà interesse del lettore scoprire come e perché egli viva invece da uomo in mezzo agli uomini.
Nel suo romanzo Orwell, socialdemocratico e laburista, volle criticare tutte le rivoluzioni, anche e soprattutto quelle di stampo socialista, che, trasformandosi in regimi di oppressione, snaturano se stesse tradendo gli ideali che le avevano scatenate, e in questo modo dimostrando un’ipocrisia persino maggiore di chi, reazionario, si adopera per un golpe contro la democrazia.
Willingham gioca con questo capolavoro della letteratura mondiale contrapponendo i suoi ideali a quelli della rivoluzione socialista, e creando uno scontro fra regime rivoluzionario e dispotismo illuminato, fra la scelta della guerra e l’imposizione della pace, fra velleità ideali e necessità contingenti. Il suo intento implicito è dimostrare che dietro le bandiere della libertà e della giustizia si cela spesso la semplice politica: quando l’ideale viene sporcato dalle lotte di fazione per la conquista del potere, giusto e sbagliato divengono semplicemente due facce di una moneta di cui non sarà il caso a decidere l’orientamento, ma il vincitore.
Particolare poi, e decisamente colto, il riferimento a Il Signore delle Mosche (“The Lord of the Flies” – William Golding – 1954); la scena del totem, costruito con la testa mozzata del primo possibile dissidente al gruppo rivoluzionario, a mò di esempio per tutti gli altri, richiama per l’appunto una scena clou del celebre romanzo, e rappresenta, a un livello simbolico che sfiora il misticismo, la discesa verso il “male” (“Signore delle Mosche” è, infatti, uno degli epiteti con cui si indica il Demonio) di questo gruppo di animali che decidono di imitare gli uomini e i loro governi. Così come il libro di Goldin voleva essere una riflessione pessimistica sull’indole umana, deviata e corrotta sin dall’infanzia, Willingham estende qui il suo pessimismo a tutto il piano dell’esistenza: non sono gli uomini, nella loro evoluzione bambino-adulto-vecchio, ad essere corrotti, ma il creato sotto tutte le sue forme. Soltanto l’esempio e il polso di persone carismatiche, possono indirizzare e attenuare le pulsioni autodistruttive degli esseri viventi.
E, anche qui, l’autore ci fornisce un nuovo tassello del pensiero politico di Favolandia (che sia poi intesa da Willingham come una ipotetica “società ideale”, non ci è dato saperlo): la giustizia della Signoria si orienta in un modo contro il vero nemico, i cospiratori politici alla ricerca del potere, e in modo completamente diverso nei confronti di chi alla rivoluzione ha preso sì parte, ma animato da istinti di libertà e uguaglianza che non certo sono condannabili, nella loro giusta purezza.

La Politica in Fables

Come si può rivelare già da questi primi due arc narrativi, la politica in Fables è materia di primaria importanza ai fini della caratterizzazione, del contesto e delle finalità didascaliche dei personaggi.
Lo stesso Willingham non ne ha mai fatto mistero, dichiarandosi anzi in maniera esplicita in un’intervista al Comics Journal del settembre 2006:

“Politicamente, sono fanaticamente pro-Israele e ciò, sotto forma di metafora (in Fables), era voluto dall’inizio. Tutto ciò che di politico troverete in Fables, sarà qualcosa che avrò scelto di mettere lì appositamente. Sarebbe impossibile tenere completamente fuori la politica da una storia. Siamo tutti creature politiche, che ci piaccia o no. Ovviamente (Fables) non è certo un trattato politico. Non lo sarà mai, ma al tempo stesso, l’opera non si tira indietro rispetto al fatto che ci sono personaggi che hanno le loro proprie convinzioni morali ed etiche, e di certo non ci scuseremo per questo. “

Willingham si rifà quindi apertamente all’espressione aristotelica di zòon politikòn, animale politico. L’uomo è un animale del tutto uguale a tutti gli altri animali. Un animale che respira, vede, sente, odia, ma, differentemente dagli altri animali, ha la necessità genetica di vivere insieme agli altri, di assemblarsi in una comunità.
E’ vero che anche altri animali si uniscono in branchi, ma le loro sono comunità gregarie (da gregge), mentre l’uomo costruisce un suo sistema di valori e di relazioni, per improntare gerarchicamente o in condizioni di uguaglianza i suoi rapporti con gli altri.
Ciò non toglie che Fables sia innanzitutto il racconto del vivere quotidiano di una comunità, con brillanti macchinazioni, scontri, colpi di scena, continui aneddoti e citazioni dei grandi capisaldi della letteratura mondiale, umorismo spinto e una spruzzatina di sano erotismo che non guasta mai… Il tutto, condito da un’atmosfera fantasy capace impreziosire il prodotto finale. Semplicemente, la vita descritta in Fables è vera, è reale e, in quanto tale, non può prescindere dalla politica.

Conclusioni

In sintesi, Fables si dimostra uno degli esperimenti fumettistici più riusciti degli ultimi anni: figlio di un capolavoro antico (Sandman) e di un’epoca moderna incapace di apprezzarlo perché da tempo ha smesso di sognare, Fables si cala nel reale, del reale si nutre, e dal reale si sviluppa. Affinché gli uomini sappiano che di tutte le Favole, la più importante, suggestiva e variegata non può che essere quella della vita.

A cura di Marco Cecini