TRON: Legacy

Giu 8, 2011

 

Il Sogno e la Rete
Nel 1982, nello stesso anno di E.T. e Blade Runner, la Disney volle tentare la via della fantascienza assoluta, la via dell’ignoto, ma che nell’immediato decennio sarebbe, ed anzi stava, divenendo il futuro, la norma, il classico della vita vissuta, lo strumento, la regola.
La Rete, un concetto astratto e così lontano, solcava le menti dei creatori (ergo: creativi) e generava un mondo del tutto alieno ma non dissimile dal noto.
La casa di Mickey Mouse, Donald Duck e Jack Sparrow (non a suo tempo, ancora) decise che la frontiera digitale poteva, doveva, essere esplorata, rivelata e che il migliore dei modi altro non fosse che l’utilizzo, il largo uso, delle medesime macchine di cui tanto volevano parlare: i computers.
Questa vasta griglia in cui edifici (come i nostri), vie (come le nostre), macchine e veicoli (come i nostri) potessero esistere e compensarsi tra loro precorse i tempi e spaventò, tanto da generare l’insulso concetto del superbo irreale, del non-finito, dello sconosciuto.
Tron debuttò al cinema rivelandosi un flop, un non visibile, un concetto potente ma non adatto al tempo che voleva raccontare senza generare un linguaggio freddo, calcolatore, fuori luogo, quasi anacronistico, sicuramente anacronistico.
Il film fu sconfitto al botteghino, ma il tempo gli diede ragione, generando un CULT MOVIE di portata mondiale e dando il via alla frontiera della Computer Graphic, in un certo senso stiamo parlando del primo film con e sulla realtà virtuale.

La Storia di TRON
Kevin Flynn è un programmatore di computer e genio informatico in lotta con la ENCOM e il suo presidente, Dillinger.
Costui ha rubato tutti i giochi di Flynn e ne ha preso il merito, ma se questo è l’incipit primordiale di Tron il suo seguito, quello ideale, quello che ha inizio quando il primo film termina, non può che essere una parola senza lieto fine, un mondo capovolto in cui la macchina è oppressa dalla macchina ed in cui l’evoluzione è statica, matematica, ma non senza futuro apparente.
Se l’idea iconica di TRON, il messia, il salvatore e la figura portante, o portatrice, della trama sembra sfuggire davanti la sfacciataggine di Flynn è anche vero che, nel suo tempo e luogo, TRON rappresenta l’icona perfetta della parola da cui viene generato (elecTRON) e se la chiave di lettura è una e una sola, è anche vero che essa porta ad una concezione molto più profonda: l’idealizzazione del sogno di un uomo all’interno del futuro del Mondo.
La storia di TRON ha origine in due mondi: il nosrto e la Rete (The Grid) e ne ripercorre fedelmento il cammino ideale verso la salvezza, la libertà originale.
Ecco allora Flynn prendere parte al pittoresco affresco di cui, egli stesso, è creatore e creativo in entrambe i casi, ecco lassoluta fedeltà alla storia ed ecco la sua naturale eredità.

L’Eredità
Nel 1985 (tempo di TRON) Kevin Flynn promette a suo figlio, Sam, che dopo aver lavorato al perfezionamento della Rete, insiema a TRON e CLU 2.0 gli avrebbe mostrato tutte le meraviglie di quella frontiera digitale e che, soprattutto, avrebbe cambiato il mondo.
Nel 1985 (tempo di TRON) Kevin Flynn scompare.
2010 (tempo di TRON e nostro), Sam è ormai un adulto, viziato ma senza vizi apparenti; ricco ma rifiuta e rifugia tutto ciò, attaccando il simbolo del potere del suo stesso retaggio e vivendo sotto un ponte, vicino il fiume, in un vecchio garage abbandonato, ma è libero.
Disilluso dalla ormai perduta promessa paterna, Sam si lascia andare alla stessa battaglia che il padre, quasi trenta anni prima, aveva ingaggiato contro la medesima multinazionale: lo scopo è diverso, il fine è uguale.
Dopo una traccia sulla possibile ubicazione di Kevin, Sam parte letteralmente alla cerca del padre, ma ciò che trova è la fine.
Se la possibilità, in questo caso matematica, che Sam possa incontrare suo padre nella Rete è davvero minima (o massima) l’architetto di tutto ciò non perde tempo nel costruire l’incontro perfetto e a presentarsi dinanzi al ragazzo con l’antico volto del suo creatore, alias, Kevin Flynn: l’eredità è spezzata, la fine pure e Sam è, irrimediabilmente, prigioniero della Rete.

La Trama Virtuale
La poesia non è comprensibile in un film di fantascienza ma non meno imponderabile o non presente, ergo la natura di una storia-remake/sequel è la stessa di una qualunque base cinematografica, soprattutto se supportata da un precedente film cult o sui generis.
Abbiamo tutti gli elementi del film originario e tutti gli elementi della miscela post-moderna/techno-romantica: il giovane (Sam Flynn – Garrett Hedlund) che intaprende un/il viaggio verso la descoverta e che giunge alla conoscenza, nonchè alla maturazione fisica di una propria realtà, perchè la vera identità risiede solo ed unicamente in lui.
La scoperta del vecchio padre è una toccante unicità intrapresa nel discorso della prima parte filmica della pellicola, siamo dinanzi ad un Kevin Flynn (Jeff Bridges) davvero differente, gli anni sono passati, le idee anche, la libertà è morta e la Rete è un conglomerato di sogni perduti ed infranti.
Il collante di un rapporto ormai privato del tempo è la giovane Quorra (Olivia Wilde) davvero inconscia del suo grande ruolo: lei non rappresenta la chiave della realizzazione finale, bensì la capacità reale del ritrovamento stesso: la Cerca è finita!
Se le ombre non “albeggiano” e i mari sono prosciugati nella Rete e se il caro vecchio MCP viene persino rimpianto da tutti, il merito di ciò va ad uno ed uno solo: CLU (Jeff Bridges ringiovanito eccellentemente tramite Technology(a) Lola).
La sua sola figura, le luci e i neon tutti del mondo di TRON catalizzano lo spettatore in un collagene in cui è impossibile concepire una razionalità fisica, la metafisica non è la chiave, ma solo il punto di partenza di un design non moderno nè innovativo: illogico e pittoresco.
Se la malvagità di CLU si riflette nel contesto irreale della sua esistenza (creazione/creatura “aggiornata” dal creativo Flynn “a sua immagine e somiglianza”) eccone venir fuori la metafora della Creazione, la religiosità dell’aspetto, con i suoi alti e bassi e con la sua fede.

Finale per TRON
TRON non è il protagonista e la sua presenza (velata e sotto gli occhi di tutti) è un concetto non nuovo, ma ben presente; la musica del film, la sua potenza (colonna sonora dei Daft Punk di cui citiamo la bellissima Derezzed e le fantastiche Rinzler, The Fall e Son of Flynn) è una nota a parte che accentua il capolavoro post-decò e l’anima della visione digitale.
L’incalzante aspetto della visibilità intrinseca è la via del finale e la via del portale che porta lo spettatore a conoscere un mistero rivelato e di sicuro fa domandare se, realmente, avevamo bisogno di scorgere questa eredità e di conoscere un mondo accessibile a tutti, ma che non tutti comprendono.
La metafora della conchiglia, il guscio vuoto ricco di vita riprende gli stilemi fisici della fantascienza d’epoca, non a caso in una delle scene più belle tra Sam e Kevin vi è una stanza arredata a metà tra neo-revisionismo ottocentesco e post steampunk: bellissima.
La regia di Kosinski stupisce e accentua sullo svettare di una architettura nata dall’entropia multipla di upgrade su upgrade, formando una società fredda, perennemente votata ad uno scopo che però si è perduto in quel sogno che il creatore tanto aveva agognato.